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La prosperità del genere umano
Comunità Internazionale Bahá'í
Ufficio per l'Informazione del Pubblico
align=left>L'ideale della pace mondiale sta assumendo una forma e una sostanza tali che nessuno avrebbe potuto
immaginare dieci anni or sono. Ostacoli che per lungo tempo erano parsi inamovibili sono crollati
sul cammino dell'umanità; conflitti apparentemente inconciliabili hanno incominciato a cedere a processi
di consultazione e risoluzione; si sta facendo strada la volontà di contrastare le aggressioni militari
con azioni internazionali unificate. L'effetto è stato di risvegliare nelle masse dell'umanità e in molti
leader del mondo una speranza sul futuro del pianeta che si era quasi spenta.
In tutto il mondo, enormi energie intellettuali e spirituali stanno cercando di farsi strada, energie la
cui crescente pressione è direttamente proporzionale alle frustrazioni degli ultimi decenni. Dappertutto
si moltiplicano segni che denotano che i popoli della terra vogliono mettere fine al conflitto, alla sofferenza
e alla devastazione da cui ormai nessun paese è immune. Queste emergenti spinte verso il cambiamento
devono essere colte e indirizzate verso il superamento delle ultime barriere che impediscono
la realizzazione dell'antico sogno della pace globale. Lo sforzo di volontà che questo compito richiede
non può essere evocato da semplici inviti ad agire contro gli innumerevoli malanni che affliggono la
align=left>società. Dev'essere stimolato da una visione della prosperità umana nel vero senso della parola, da una
presa di coscienza delle possibilità di benessere materiale e spirituale che sono ora a portata di mano.
Ne devono beneficiare tutti gli abitanti del pianeta indistintamente, senza imposizioni di condizioni estranee
alle mete fondamentali di tale riorganizzazione delle faccende umane.
La storia ha finora documentato l'esperienza di tribù, culture, classi sociali e nazioni. Con l'unificazione
materiale del pianeta verificatasi in questo secolo e con il riconoscimento dell'interdipendenza di
tutti coloro che lo abitano, sta ora per incominciare la storia dell'umanità intesa come un solo popolo. Il
lungo e lento incivilimento del carattere umano è stato uno sviluppo sporadico, ineguale e, come tutti
ammettono, iniquo nei vantaggi materiali che ha conferito. E tuttavia, dotati di tutta la ricchezza della
varietà genetica e culturale che si è sviluppata nel corso delle ere passate, gli abitanti della terra sono
ora sfidati ad attingere al loro retaggio collettivo per assumersi, consapevolmente e sistematicamente, il
compito di disegnare il proprio futuro.
È illusorio supporre di poter formulare la visione del prossimo stadio del progresso della civiltà senza
un meticoloso riesame degli atteggiamenti e dei presupposti sui quali le concezioni dello sviluppo
sociale ed economico attualmente si fondano. È ovvio che tale ripensamento dovrà occuparsi di questioni
pratiche di indirizzi politici, di utilizzazione delle risorse, di procedure di pianificazione, di metodologie
applicative e di organizzazione. Ma ben presto emergeranno questioni fondamentali, relative
alle mete a lungo termine da perseguire, alle strutture sociali necessarie, alle implicazioni di alcuni
principi di giustizia sociale ai fini dello sviluppo e alla natura e al ruolo del sapere nel produrre cambiamenti
permanenti. In verità, questo riesame sarà costretto a cercare un'ampio consenso sulla comprensione
della stessa natura umana.
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Tutte queste questioni concettuali e pratiche possono essere discusse seguendo due indirizzi. E per
l'appunto secondo questi due indirizzi esamineremo, nelle prossime pagine, il tema di una strategia per
lo sviluppo globale. Il primo riguarda le prevalenti convinzioni sulla natura e sullo scopo del processo
dello sviluppo, il secondo il ruolo in esso assegnato ai vari protagonisti.
I presupposti che informano la maggior parte dell'attuale pianificazione dello sviluppo sono essenzialmente
materialistici. Vale a dire, lo scopo dello sviluppo è definito in termini di proficua promozione
in tutte le società di quei mezzi per il conseguimento del benessere materiale che, attraverso tentativi
ed errori, sono giunti a caratterizzare alcune regioni del mondo. In verità qualcosa sta cambiando nel
align=left>discorso sullo sviluppo, per venire incontro alle diversità delle culture e dei sistemi politici e in risposta
agli allarmanti pericoli creati dal degrado ambientale. Ma i presupposti materialistici di base restano sostanzialmente
incontestati.
Al volgere del ventesimo secolo, non è più possibile credere ancora che le concezioni dello sviluppo
sociale ed economico alle quali la visione materialistica della vita ha dato origine siano in grado di rispondere
ai bisogni dell'umanità. Le ottimistiche previsioni sui cambiamenti che esse avrebbero dovuto
produrre sono sfumate nel crescente abisso che separa il livello di vita di un'esigua minoranza, che va
relativamente restringendosi, dalla povertà che affligge la stragrande maggioranza della popolazione
mondiale.
Questa crisi economica senza precedenti, assieme al dissesto sociale che ha contribuito a generare,
rispecchia un grave errore concettuale sulla natura umana. Infatti il livello della risposta suscitata negli
esseri umani dagli incentivi dell'ordine prevalente non solo sono insufficienti, ma sembrano quasi insignificanti
di fronte agli eventi mondiali. Questo dimostra che, se lo sviluppo della società non troverà
uno scopo che trascenda il puro e semplice miglioramento delle condizioni materiali, non si riuscirà a
raggiungere neppure queste mete. Quello scopo dev'essere ricercato in dimensioni e motivazioni spirituali
della vita che trascendono un panorama economico in continua trasformazione e la divisione artificialmente
imposta delle società umane in «sviluppate» e «in via di sviluppo».
Se lo scopo dello sviluppo viene ridefinito, diventa anche necessario riesaminare i presupposti del
corretto ruolo dei protagonisti del processo. Il ruolo cruciale del governo, a tutti i livelli, non richiede
elaborazione. Ma le future generazioni troveranno quasi incomprensibile il fatto che, in un'èra che rende
omaggio a una filosofia egalitaria e ai relativi principi democratici, la pianificazione dello sviluppo
possa considerare le masse dell'umanità essenzialmente come recipienti di benefici erogati dall'assistenza
e dall'istruzione. Sebbene il concetto della partecipazione sia accettato in linea di principio, le
possibilità di decisionalità lasciate alla maggior parte dei popoli del mondo sono nel migliore dei casi
secondarie, limitate a una gamma di scelte formulate da organismi cui essi non hanno accesso e condizionate
da mete spesso inconciliabili con la loro percezione della realtà.
Questa impostazione è, implicitamente se non esplicitamente, avvallata perfino dalle religioni istituzionali.
Il pensiero religioso prevalente, appesantito da tradizioni paternalistiche, sembra incapace di
trasformare la fede che dice di avere nelle dimensioni spirituali della natura umana in una fiducia nella
capacità collettiva del genere umano di trascendere le condizioni materiali.
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Un simile atteggiamento non coglie i significati di quello che è forse il più importante fenomeno
sociale dei nostri tempi. Se è vero che i governi del mondo stanno tentando di costruire un nuovo
ordine mondiale attraverso lo strumento delle Nazioni Unite, è altrettanto vero che i popoli del mondo
sono elettrizzati da questa stessa visione. La loro riposta ha assunto la forma di un'improvvisa fioritura
di innumerevoli movimenti e organismi per il cambiamento sociale a livello locale, regionale e
internazionale. I diritti umani, il progresso delle donne, i requisiti sociali dello sviluppo economico
sostenibile, il superamento dei pregiudizi, l'educazione morale dei bambini, l'alfabetismo, il servizio
sanitario di base e una miriade di altre importantissime questioni richiedono urgentemente il patrocinio
di organismi sostenuti da un crescente numero di persone in ogni parte del globo.
Questa risposta dei popoli del mondo ai pressanti bisogni dei tempi fa eco all'appello lanciato da Bahá'u'lláh
oltre cent'anni or sono: «Interessatevi premurosamente delle necessità dell'epoca in cui vivete e
accentrate le vostre deliberazioni sulle sue esigenze e necessità». La trasformazione del modo in cui
moltissime persone comuni stanno incominciando a vedere se stesse, un cambiamento che è drammaticamente
repentino nel panorama della storia della civiltà, solleva fondamentali interrogativi sul ruolo
assegnato all'intero corpo dell'umanità nella progettazione del futuro del pianeta.
I
Il principio basilare di una strategia che possa impegnare la popolazione del mondo ad assumersi la
responsabilità del proprio destino collettivo dev'essere la consapevolezza dell'unità del genere umano.
Ingannevolmente semplice nei discorsi della gente, il concetto che l'umanità costituisce un unico popolo
mette sostanzialmente in discussione il modo in cui la maggior parte delle istituzioni della società
contemporanea svolgono le loro funzioni. Nella forma della struttura antagonistica del governo civile,
nel principio del patrocinio cui la legge civile è per lo più improntata, nella glorificazione della lotta fra
le classi e altri gruppi sociali o nello spirito competitivo così predominante nella vita moderna, il conflitto
è accettato come la molla dell'interazione umana. Esso rappresenta un'ulteriore espressione, nell'organizzazione
sociale, dell'interpretazione materialistica della vita che è andata progressivamente
consolidandosi negli ultimi due secoli.
In una lettera che indirizzò alla regina Vittoria oltre un secolo fa, Bahá'u'lláh, ricorrendo a un'analogia
che fa riferimento all'unico modello per l'organizzazione di una società planetaria che contenga una
promessa convincente, paragonò il mondo al corpo umano. E in effetti non v'è altro modello nell'esistenza
fenomenica cui si possa ragionevolmente guardare. La società umana non è fatta di una massa di
cellule differenziate, ma di associazioni di individui, ciascuno dei quali è dotato di intelligenza e volontà;
nondimeno, le modalità operative che caratterizzano la natura biologica dell'uomo illustrano i principi
fondamentali dell'esistenza, primo fra tutti quello dell'unità nella diversità. Paradossalmente, sono
proprio l'unità e la complessità dell'ordine che costituisce il corpo umano e la perfetta integrazione in
esso delle cellule del corpo che permettono la completa realizzazione delle tipiche capacità intrinseche
di ciascuno degli elementi componenti. Nessuna cellula vive separatamente dal corpo, tanto nel contribuire
al suo funzionamento quanto nel derivare la propria parte dal benessere dell'insieme. Il benessere
materiale così conseguito trova il proprio scopo nel rendere possibile l'espressione della coscienza umana;
vale a dire, lo scopo dello sviluppo biologico trascende la pura e semplice esistenza del corpo e
delle sue parti.
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Quello che vale nella vita dell'individuo ha una controparte nella società umana. La specie umana è
un complesso organico, l'elemento di punta del processo evolutivo. Che la coscienza umana operi necessariamente
attraverso un'infinita varietà di menti e di motivazioni individuali nulla toglie alla sua sostanziale
unità. In verità, è proprio l'intrinseca diversità che distingue l'unità dall'omogeneità o uniformità.
Quello che i popoli del mondo stanno sperimentando oggi, disse Bahá'u'lláh, è il loro conseguimento
collettivo della maturità ed è in questa emergente maturità della razza che il principio dell'unità
nella diversità trova piena espressione. Dai primi inizi del consolidamento della vita familiare, il processo
dell'organizzazione sociale è successivamente passato dalle semplici strutture del clan e della tribù,
alle molteplici forme delle società urbane, alla nascita degli stati nazionali e ciascuno di questi stadi
ha dischiuso una messe di nuove opportunità per l'esercizio delle capacità umane.
Chiaramente, il progresso della razza non è avvenuto a spese dell'individualità umana. Mentre l'organizzazione
sociale cresceva, contemporaneamente anche l'ambito dell'espressione delle capacità latenti
in ogni essere umano andava allargandosi. Dato che fra l'individuo e la società vi è un rapporto di
reciprocità, la trasformazione che oggi si richiede deve verificarsi simultaneamente nella coscienza umana
e nella struttura delle istituzioni sociali. È nelle opportunità fornite da questo duplice processo di
cambiamento che una strategia per lo sviluppo globale può trovare il suo scopo. In questo momento
cruciale della storia, quello scopo dev'essere la creazione di fondamenta durature sulle quali possa a poco
a poco prender forma una civiltà planetaria.
La preparazione delle basi di una civiltà globale richiede la creazione di leggi e istituzioni che abbiano
carattere e autorità universali. L'impresa potrà avere inizio solo quando il concetto dell'unità del
genere umano sia stato integralmente accettato da coloro ai quali spetta di prendere le decisioni e quando
i relativi principi saranno stati propagati attraverso i sistemi educativi e i mezzi di comunicazione.
Oltrepassata questa soglia, sarà messo in moto un processo grazie al quale i popoli del mondo potranno
essere coinvolti nel compito di formulare mete comuni e di impegnarsi per conseguirle. Solo un riorientamento
così fondamentale potrà inoltre proteggerli dagli antichi demoni della lotta etnica e religiosa.
Solo grazie all'albeggiante consapevolezza del fatto di essere un unico popolo gli abitanti della terra potranno
allontanarsi dai modelli conflittuali che in passato hanno dominato l'organizzazione sociale e incominciare
a imparare le vie della collaborazione e della conciliazione. «Il benessere dell'umanità»
scrive Bahá'u'lláh «la sua pace e sicurezza saranno irraggiungibili, ammenoché e finché la sua unità non
sia saldamente stabilita».
II
La giustizia è l'unica forza che possa trasformare la consapevolezza dell'albeggiante unità del genere
umano in una volontà collettiva grazie alla quale le necessarie strutture della vita di una comunità globale
possano essere fiduciosamente erette. Un'èra che vede i popoli del mondo ottenere sempre più facilmente
accesso a ogni genere di informazione e a una grande varietà di idee vedrà anche la giustizia
affermarsi come principio dominante di una proficua organizzazione sociale. Sempre più spesso, le
proposte intese allo sviluppo del pianeta dovranno sottoporsi alla schietta luce degli standard che la
giustizia esige.
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A livello dell'individuo, la giustizia è quella facoltà dell'anima umana che consente a ogni persona di
distinguere il vero dal falso. Agli occhi di Dio, Bahá'u'lláh dichiara, la giustizia è «la più diletta di tutte
le cose» perché permette a ognuno di vedere con i propri occhi invece che con quelli degli altri, di conoscere
per cognizione propria piuttosto che con quella del vicino o del gruppo. Essa richiede imparzialità
di giudizio, equità nel trattare gli altri ed è perciò una costante, seppur esigente, compagna nelle occasioni
quotidiane della vita.
A livello del gruppo, il rispetto della giustizia è l'indispensabile bussola nel processo decisionale collettivo,
perché essa è l'unico mezzo per conseguire l'unità di pensiero e di azione. Lungi dall'incoraggiare
quello spirito punitivo che spesso in ere passate si è mascherato sotto il suo nome, la giustizia è l'espressione
pratica della consapevolezza del fatto che, nel perseguimento del progresso umano, gli interessi
dell'individuo e della società sono inestricabilmente legati. Nella misura in cui la giustizia diviene
la considerazione fondamentale dell'interazione umana, viene incoraggiato un clima consultativo che
consente che le opzioni siano esaminate spassionatamente e che si possano scegliere idonee linee di
condotta. In un siffatto clima le probabilità che le perenni tendenze alla manipolazione e allo spirito di
parte possano sviare il processo decisionale sono molto minori.
Le implicazioni ai fini dello sviluppo sociale ed economico sono profonde. Il rispetto della giustizia
protegge il compito di definire il progresso dalla tentazione di sacrificare il benessere della maggioranza
dell'umanità e del pianeta ai vantaggi che le conquiste tecnologiche possono mettere a disposizione
di minoranze privilegiate. Nella progettazione e nella pianificazione, assicura che risorse già di per sé
limitate non siano dirottate verso il perseguimento di progetti estranei alle essenziali priorità sociali o
economiche della comunità. Soprattutto, solo programmi di sviluppo che siano considerati adatti ai bisogni
delle masse dell'umanità e giusti ed equi negli obiettivi possono sperare di ottenere l'impegno di
quelle stesse masse, dalle quali la loro applicazione dipende. Le qualità umane pertinenti come l'onestà,
la disponibilità al lavoro e lo spirito di collaborazione sono proficuamente utilizzate per il conseguimento
di mete collettive altamente impegnative quando ogni membro della società, anzi ogni gruppo
componente della società, possa fiduciosamente attendersi di essere protetto da criteri, e di godere di
benefici, che valgono ugualmente per tutti.
Pertanto, il nocciolo della discussione di una strategia per lo sviluppo sociale ed economico è la questione
dei diritti umani. L'elaborazione di questa strategia richiede che la promozione dei diritti umani
sia liberata dai ceppi delle false dicotomie che l'hanno così a lungo tenuta in ostaggio. La preoccupazione
di fare in modo che ogni essere umano possa godere della libertà di pensiero e di azione necessaria
alla sua crescita personale non giustifica la devozione al culto dell'individualismo che inquina così
profondamente molte aree della vita contemporanea. La preoccupazione di assicurare il benessere della
società nel suo insieme non richiede la deificazione dello stato quasi esso fosse la fonte del benessere
dell'umanità. Al contrario, la storia di questo secolo dimostra fin troppo chiaramente che tali ideologie e
i faziosi programmi cui esse danno origine sono stati i principali nemici degli interessi che esse pretendono
di servire. Solo in una struttura consultativa resa possibile dalla consapevolezza dell'unità del genere
umano tutti gli aspetti del rispetto dei diritti umani troveranno un'espressione legittima e creativa.
Oggi, l'organo al quale è toccato il compito di creare questa struttura e di liberare la promozione dei
diritti umani da coloro che la sfrutterebbero è il sistema di istituzioni internazionali che sono sorte dalle
tragedie di due rovinose guerre mondiali e dall'esperienza del dissesto economico mondiale. È significativo
che il termine «diritti umani» sia entrato nell'uso corrente solo dopo la promulgazione dello Sta
6tuto delle Nazioni Unite nel 1945 e l'adozione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani tre anni
dopo. In questi storici documenti, è stato dato formale riconoscimento al rispetto della giustizia sociale
come correlativo dell'instaurazione della pace mondiale. Il fatto che la Dichiarazione sia stata approvata
dall'Assemblea Generale senza voti dissenzienti le ha conferito sin dall'inizio un'autorità che è costantemente
cresciuta negli anni successivi.
L'attività più intimamente legata alla coscienza che contraddistingue la natura umana è l'esplorazione
della realtà che l'individuo compie per proprio conto. La libertà di fare ricerche sullo scopo dell'esistenza
e di sviluppare le doti della natura umana che rendono tale scopo raggiungibile dev'essere protetta.
Gli esseri umani devono essere liberi di sapere. Che tale libertà sia spesso violata e che tale violazione
sia flagrantemente incoraggiata dalle caratteristiche della società contemporanea nulla toglie alla validità
dell'impulso.
È questo caratteristico impulso della coscienza umana che fornisce l'imperativo morale per l'enunciazione
di molti fra i diritti contenuti nella Dichiarazione Universale e nei relativi Patti. L'educazione
universale, la libertà di movimento, l'accesso all'informazione e la possibilità di partecipare alla vita politica
sono tutti aspetti del suo esercizio che richiedono un'esplicita garanzia da parte della comunità internazionale.
Altrettanto dicasi per la libertà di pensiero e di fede, che comprende la libertà religiosa,
oltre che per il diritto di avere un'opinione e di esprimerla convenientemente.
Poiché il corpo dell'umanità è unico e indivisibile, ogni membro della razza che viene al mondo è un
pegno affidato alle cure di tutti gli altri. Questa funzione tutelare è la base morale della maggior parte
degli altri diritti, soprattutto economici e sociali, che gli strumenti delle Nazioni Unite stanno cercando
analogamente di definire. La sicurezza della famiglia e del focolare, il diritto alla proprietà e alla privatezza
sono tutti impliciti in questa funzione tutelare. Gli obblighi della comunità comportano anche che
essa provveda all'occupazione, alla cura della salute mentale e fisica, alla sicurezza sociale, all'equo salario,
al riposo e allo svago e a un'infinità di altre ragionevoli aspettative dei singoli membri della società.
Il principio della funzione tutelare collettiva determina anche il diritto di aspettarsi che le condizioni
culturali essenziali per la propria identità godano della protezione della legge nazionale e internazionale.
Analogamente al ruolo che il patrimonio genetico svolge nella vita biologica del genere umano e
nell'ambiente, l'immensa ricchezza delle diversità culturali conseguita nel corso di migliaia di anni è vitale
ai fini dello sviluppo sociale ed economico di una razza umana che sta conseguendo la maturità.
Essa rappresenta un retaggio cui si deve permettere di produrre il proprio frutto in una civiltà globale.
Da un lato, le espressioni culturali devono essere protette dal soffocamento da parte delle influenze materialistiche
che hanno attualmente il predominio. Dall'altro, devono essere lasciate interagire nei perennemente
mutevoli modelli della civiltà, libere da manipolazioni per fini politici di parte.
«Luce dell'uomo è la giustizia,» dice Bahá'u'lláh «non spegnetela con i venti contrari del sopruso e
della tirannia; scopo della giustizia è l'apparizione dell'unità fra gli uomini. L'oceano della saggezza divina
spumeggia in questa sublime parola, mentre i libri del mondo non possono contenerne l'intimo significato
».
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III
Perché il modello dei diritti umani che la comunità delle nazioni è ora in procinto di formulare possa
essere promosso e adottato sotto forma di correnti norme internazionali, occorre una radicale ridefinizione
dei rapporti umani. Gli attuali concetti su ciò che è naturale e giusto nei rapporti fra gli esseri umani,
fra questi e la natura, fra l'individuo e la società e fra i membri della società e le sue istituzioni,
rispecchiano livelli di comprensione conseguiti dalla razza umana durante precedenti stadi del suo sviluppo,
di minore maturità. Se è vero che l'umanità sta raggiungendo la maturità, se tutti gli abitanti del
pianeta sono un'unico popolo, se la giustizia dev'essere il principio informatore dell'organizzazione sociale,
allora gli attuali concetti che sono nati dall'ignoranza di queste realtà emergenti devono essere riformulati.
Il movimento in questa direzione è a malapena incominciato. Procedendo, comporterà una nuova
concezione della natura della famiglia e dei diritti e dei doveri dei suoi membri. Modificherà radicalmente
il ruolo delle donne a tutti i livelli della società. Avrà effetti travolgenti sul riassetto del rapporto
fra le persone e il lavoro che svolgono e sulla comprensione del posto che l'attività economica occupa
nella vita. Comporterà cambiamenti di vasta portata nella regolazione delle faccende umane e nelle istituzioni
create per questo scopo. Grazie alla sua influenza, il lavoro dei sempre più numerosi organismi
non governativi della società sarà sempre più razionalizzato. Permetterà la creazione di una legislazione
vincolante che proteggerà l'ambiente e i bisogni di sviluppo di tutti i popoli. Infine, la ristrutturazione o
la trasformazione del sistema delle Nazioni Unite che questo movimento sta già realizzando comporterà
indubbiamente la formazione di una federazione mondiale di nazioni con i suoi organi legislativi, giudiziari
ed esecutivi.
Fondamentale ai fini dell'opera di riformulazione del sistema delle relazioni umane è il processo che
Bahá'u'lláh chiama consultazione. «È necessario consultarsi su ogni cosa» è il Suo consiglio. «La maturità
del dono della comprensione si manifesta mediante la consultazione».
Il tipo di ricerca della verità che questo processo richiede è molto diverso dai modelli del negoziato e
del compromesso che tendono a caratterizzare l'attuale discussione delle faccende umane. Non può essere
conseguito con la cultura della protesta, un'altra caratteristica largamente diffusa della società contemporanea,
anzi ne è gravemente compromesso. Il dibattito, la propaganda, il metodo antagonistico,
l'intero apparato delle parti che sono stati per lungo tempo caratteristiche tanto familiari dell'azione collettiva
sono tutti fondamentalmente nocivi al loro stesso scopo: ossia, pervenire a un consenso sulla verità
di una data situazione e alla decisione più saggia fra le opzioni possibili in un determinato momento.
Quello che Bahá'u'lláh auspica è un processo consultativo nel quale i singoli partecipanti cerchino di
superare i rispettivi punti di vista, per funzionare come membri di un organismo con mete e interessi
propri. In questa atmosfera, caratterizzata da schiettezza e cortesia, le idee non appartengono all'individuo
cui sono venute in mente nel corso della discussione ma al gruppo nel suo insieme, che può
prenderle, scartarle o rivederle nel modo che sembra meglio servire allo scopo perseguito. La
consultazione ha successo nei limiti in cui tutti i partecipanti sostengono la decisione presa,
align=left>prescindendo dalle opinioni personali con cui erano entrati nella discussione. In tal modo una decisione
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nioni personali con cui erano entrati nella discussione. In tal modo una decisione precedente può essere
prontamente riconsiderata se l'esperienza ne mette in luce una manchevolezza.
Vista sotto questa luce, la consultazione è l'espressione operativa della giustizia nelle faccende umane.
Tale è la sua importanza ai fini del successo dello sforzo collettivo che essa deve costituire un elemento
fondamentale di una stategia percorribile per lo sviluppo sociale ed economico. In verità, la partecipazione
delle persone dal cui impegno e dai cui sforzi dipende il successo di tale strategia diventa
fattiva solo quando si faccia della consultazione il principio informatore di ogni progetto. «Nessuno può
raggiungere il proprio vero rango, fuorché mediante la giustizia. Non esiste forza se non attraverso l'unità,
né prosperità o benessere può essere conseguito, se non con la consultazione».
IV
I compiti inerenti allo sviluppo di una società globale richiedono livelli di capacità superiori a quelli
che la razza umana è stata finora capace di ottenere. Per raggiungere tali livelli, occorrerà un'enorme
espansione delle possibilità di accesso alla conoscenza da parte degli individui e degli organismi sociali.
In questo processo di formazione di capacità, l'educazione universale sarà un indispensabile collaboratore,
ma l'impresa riuscirà solo quando le faccende umane saranno organizzate in modo tale da consentire
agli individui e ai gruppi di ogni segmento della società di acquisire conoscenze e applicarle alla
sistemazione delle faccende umane.
In tutta la storia documentata, la coscienza umana è dipesa da due fondamentali sistemi di sapere
attraverso i quali le sue potenzialità sono state progressivamente espresse: la scienza e la religione. In
base a questi due organi, l'esperienza è stata organizzata, l'ambiente è stato interpretato, i suoi poteri
latenti sono stati esplorati e la sua vita morale e intellettuale è stata disciplinata. Essi sono stati i veri
progenitori della civiltà. Giudicando a posteriori, è evidente inoltre che la validità di questa struttura
duale è stata massima nei periodi in cui la religione e la scienza, ciascuna nel proprio ambito, hanno
potuto lavorare di concerto.
Dato il pressocché universale rispetto di cui la scienza attualmente gode, le sue credenziali non richiedono
spiegazioni. Nel contesto di una strategia per lo sviluppo sociale ed economico, il problema è
invece come organizzare l'attività scientifica e tecnologica. Se il lavoro che tale attività comporta è visto
essenzialmente come la riserva di un'élite precostituita in un esiguo numero di nazioni, è ovvio che
l'enorme divario che tale assetto ha già creato fra i ricchi e i poveri del mondo non potrà che continuare
ad allargarsi, con le disastrose conseguenze sull'economia mondiale che sono già state notate. In effetti,
se la maggior parte degli uomini continuano a essere visti soprattutto come utenti di prodotti della
scienza e della tecnologia che vengono creati altrove, allora a rigor di termini i programmi apparentemente
elaborati per soddisfare i loro bisogni non possono essere chiamati «sviluppo».
Pertanto, il problema fondamentale, ed enorme, è l'espansione dell'attività scientifica ed economica.
Uno strumento di cambiamento sociale ed economico di tale potenza non deve più essere patrimonio di
segmenti privilegiati della società, ma dev'essere organizzato in modo tale da permettere che tutti vi
possano partecipare in base alle capacità. Oltre all'elaborazione di programmi che rendano accessibile la
necessaria educazione a tutti coloro che sono in grado di beneficiarne, questa riorganizzazione richiede
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che in tutto il mondo siano fondati centri di sapere vitali, istituzioni che aumentino la capacità dei
popoli del mondo di partecipare alla produzione e all'applicazione del sapere. La strategia per lo
sviluppo, pur riconoscendo le grandi differenze delle potenzialità individuali, deve includere fra le sue
principali mete il compito di dare a tutti gli abitanti della terra la possibilità di accedere su basi paritarie
ai processi della scienza e della tecnologia ai quali tutti hanno diritto per nascita. Mentre la crescente
rivoluzione nelle tecnologie della comunicazione mette l'informazione e l'educazione alla portata di
moltissime persone di tutto il mondo, dovunque si trovino, qualunque sia la loro provenienza culturale,
gli argomenti più familiari a favore del mantenimento dello
status quo diventano ogni giorno menoconvincenti .
Altrettanto temibili, anche se di carattere diverso, sono i problemi che l'umanità deve risolvere nella
vita religiosa. Per la grande maggioranza della popolazione mondiale, l'idea che la natura dell'uomo abbia
una dimensione spirituale, anzi che la sua identità fondamentale sia spirituale, è una verità che non
ha bisogno di dimostrazioni. Questa percezione della realtà può essere rintracciata nei più antichi documenti
della civiltà ed è stata coltivata per parecchi millenni da tutte le grandi tradizioni religiose del
passato dell'umanità. Le sue durevoli realizzazioni nella legge, nelle belle arti e nell'incivilimento delle
relazioni umane danno sostanza e significato alla storia. In una forma o nell'altra i suoi suggerimenti esercitano
una quotidiana influenza nella vita della maggior parte delle persone sulla terra e, come gli
eventi del mondo dimostrano drammaticamente, gli aneliti che essa suscita sono inestinguibili e incalcolabilmente
potenti.
Sembrerebbe pertanto ovvio che qualunque genere di sforzo miri a promuovere il progresso umano
debba cercare di utilizzare capacità così universali e così immensamente creative. Perché dunque le
questioni spirituali con cui l'umanità si trova a confronto non sono state fondamentali nel discorso sullo
sviluppo? Perché la maggior parte delle priorità, anzi la maggior parte dei presupposti basilari del programma
internazionale per lo sviluppo sono stati finora condizionati da visioni materialistiche del
mondo accettate solo da piccole minoranze della popolazione mondiale? Quanto peso si può dare a una
dichiarata devozione al principio della partecipazione universale che nega la validità della determinante
esperienza culturale dei partecipanti?
Si può sostenere che le questioni spirituali e morali, essendo state storicamente legate a discusse dottrine
teologiche non suscettibili di prova obiettiva, esulano dal quadro degli interessi della comunità internazionale
nei confronti dello sviluppo. Assegnare loro un ruolo significativo significherebbe aprire la
porta a quelle stesse influenze dogmatiche che hanno alimentato il conflitto sociale e impedito il progresso
umano. Questo argomento contiene indubbiamente una parte di verità. Gli esponenti dei vari sistemi
teologici del mondo hanno grandi responsabilità non solo per il discredito in cui la fede è caduta
fra molti pensatori progressisti, ma anche per gli impedimenti e le distorsioni prodotte nell'ininterrotto
discorso dell'umanità sul significato spirituale. Concludere, però, che la soluzione consista nello scoraggiare
l'esame della realtà spirituale e nell'ignorare le radici più profonde della motivazione umana è
un evidente errore. L'unico risultato, nella misura in cui tale censura è stata esercitata nella storia recente,
è stato di consegnare la costruzione del futuro dell'umanità nelle mani di una nuova ortodossia, un'ortodossia
che sostiene che la verità è amorale e che i fatti sono indipendenti dai valori.
Per quanto riguarda l'esistenza terrena, molte delle più grandi realizzazioni della religione sono state
di carattere morale. Grazie ai suoi insegnamenti e all'esempio di vite umane che ne sono state illuminate,
una miriade di persone di tutte le età e in tutti i paesi hanno sviluppato la capacità di amare, hanno
imparato a disciplinare il lato animale della loro natura, ad affrontare grandi sacrifici per il bene comu
10ne, a praticare il perdono, la generosità e la fiducia, a utilizzare le ricchezze e altre risorse in modo da
servire al progresso della civiltà. E per tradurre questi progressi morali nelle norme della vita sociale su
vasta scala, sono stati concepiti sistemi istituzionali. Pur oscurati da accezioni dogmatiche e sviati da
conflitti settari, gli impulsi spirituali sprigionati da figure trascendenti come Krishna, Mosè, Buddha,
Zoroastro, Gesù e Muhammad sono stati i principali fattori che hanno influenzato l'incivilimento del
carattere umano.
E dunque, dato che la sfida è il potenziamento dell'umanità mediante una grande estensione dell'accesso
alla conoscenza, la strategia che può permetterlo dev'essere elaborata attorno a un continuo e crescente
dialogo fra scienza e religione. È o dovrebbe essere lapalissiano che, in ogni campo dell'attività
umana e a tutti livelli, le intuizioni e i talenti che costituiscono il frutto della scienza devono affidarsi
alla forza dell'impegno spirituale e del principio morale, per avere una corretta applicazione. Gli uomini,
per fare un esempio, devono imparare a separare i fatti dalle congetture, a distinguere fra opinioni
soggettive e realtà obiettiva; ma la misura in cui individui e istituzioni così attrezzati possono contribuire
al progresso umano è condizionata dalla loro dedizione alla verità e dal loro distacco dalle sollecitazioni
dell'interesse e delle passioni. Un'altra capacità che la scienza deve coltivare in tutte le persone è
quella di pensare in termini di processo, inclusi i processi storici; ma se questo progresso intellettuale
deve infine contribuire alla promozione dello sviluppo, la sua prospettiva dev'essere libera da pregiudizi
di razza, cultura, sesso o fede settaria. Similmente, un'istruzione che permetta agli abitanti della terra di
partecipare alla produzione della ricchezza promuove gli scopi dello sviluppo solo nella misura in cui
tale impulso è illuminato dal concetto spirituale che servire il genere umano è lo scopo della vita degli
individui e dell'organizzazione della società.
V
È nel contesto di un innalzamento del livello delle capacità umane mediante l'espansione del sapere
a tutti i livelli che si devono affrontare i problemi economici con cui l'umanità si trova alle prese. Come
l'esperienza degli ultimi decenni ha dimostrato, i vantaggi e le attività materiali non possono essere
considerati come un fine a se stesso. Il loro valore non consiste solo nel soddisfacimento dei fondamentali
bisogni umani per quanto riguarda l'alloggio, il cibo, la salute eccetera, ma anche nell'ampliamento
delle possibilità delle capacità umane. Il più importante ruolo che le imprese economiche devono svolgere
nello sviluppo consiste dunque nel fornire alle persone e alle istituzioni i mezzi con cui essi possano
conseguire il vero scopo dello sviluppo, ossia, costruire le basi di un nuovo ordine sociale che coltivi
le illimitate potenzialità latenti nella coscienza umana.
align=left>La sfida lanciata alla dottrina economica è quella di accettare senza mezzi termini che lo scopo dello
sviluppo è questo, e che il suo ruolo è quello di favorire la creazione dei mezzi necessari a conseguirlo.
Solo così l'economia e le scienze affini potranno liberarsi dal risucchio delle preoccupazioni materialistiche
che oggi le distraggono ed esprimere le loro potenzialità di strumenti vitali per il conseguimento
del benessere umano nel vero senso della parola. In nessun altro campo il bisogno di un rigoroso dialogo
fra il lavoro della scienza e le intuizioni della religione è più evidente.
Il problema della povertà è un esempio calzante. Le proposte intese ad affrontarla si fondano sulla
convinzione che esistano, o possano essere create dallo sforzo scientifico e tecnologico, le risorse mate
11riali necessarie per alleviare e infine estirpare completamente questa antica condizione dal novero delle
caratteristiche della vita umana. La principale ragione per cui tale liberazione non è stata realizzata è
che i necessari progressi scientifici e tecnologici rispondono a un insieme di priorità solo marginalmente
correlate ai veri interessi della maggioranza dell'umanità. Se il mondo dovrà essere finalmente liberato
dal peso della povertà, sarà necessario che queste priorità vengano radicalmente rivedute. Una tale
realizzazione richiede una risoluta ricerca di valori idonei, una ricerca che metterà a dura prova le risorse
spirituali e scientifiche dell'umanità. Finché resterà prigioniera di dottrine settarie che non sanno distinguere
fra appagamento e mera passività e insegnano che la povertà è una caratteristica intrinseca
della vita terrena, cui si può sfuggire solo nell'aldilà, la religione sarà gravemente intralciata nel suo
contributo a questa impresa congiunta. Per partecipare fattivamente alla lotta intesa a dare il benessere
materiale al genere umano, lo spirito religioso deve trovare, nella Sorgente d'ispirazione da cui scaturisce,
nuovi concetti e principi spirituali adatti a un'èra che cerca di introdurre l'unità e la giustizia nelle
faccende umane.
La disoccupazione solleva problemi analoghi. Nel pensiero contemporaneo, il concetto di lavoro è
stato perlopiù ridotto a quello di un'occupazione redditizia che serve ad acquisire i mezzi per il consumo
di beni disponibili. Il sistema è circolare: l'acquisizione e il consumo permettono il mantenimento e
l'espansione della produzione di beni e, di conseguenza, il sovvenzionamento dell'occupazione pagata.
Prese singolarmente, tutte queste attività sono essenziali per il benessere della società. Ma l'inadeguatezza
del concetto globale può essere letta nell'apatia che i commentatori sociali riscontrano in tutti i
paesi fra le masse di coloro che hanno un'occupazione e la demoralizzazione delle crescenti schiere di
coloro che non l'hanno.
Non è una sorpresa dunque che vi sia un crescente riconoscimento del fatto che il mondo ha urgente
bisogno di una nuova «etica del lavoro». Anche qui solo intuizioni generate dall'interazione creativa fra
i due sistemi di sapere, scientifico e religioso, potranno produrre un così fondamentale riorientamento
delle abitudini e degli atteggiamenti. A differenza dagli animali che traggono sostentamento da qualunque
cosa l'ambiente facilmente fornisca, gli esseri umani sono costretti a esprimere le loro immense capacità
latenti in un lavoro produttivo designato a soddisfare i loro bisogni e quelli altrui. Agendo in
questo modo essi diventano partecipi, sia pur a un modesto livello, dei processi del progresso della civiltà.
Conseguono scopi che li uniscono agli altri. Nella misura in cui viene consapevolmente svolto
nello spirito del servizio all'umanità, dice Bahá'u'lláh, il lavoro è una forma di preghiera, un mezzo per
adorare Iddio. Ogni individuo ha la capacità di vedersi in questa luce ed è a questa inalienabile capacità
dell'io che la strategia per lo sviluppo deve fare appello, qualunque sia la natura dei piani perseguiti,
qualunque sia la ricompensa promessa. Nessuna prospettiva più ristretta evocherà mai dai popoli del
mondo l'enorme sforzo e l'immensa dedizione che le future imprese economiche richiederanno.
Il pensiero economico, in conseguenza alla crisi ambientale, si trova alle prese con una sfida analoga.
La fallacia delle teorie basate sulla convinzione che la capacità della natura di soddisfare qualsiasi
richiesta umana sia illimitata è stata ora freddamente esposta. Una cultura che attribuisce valore assoluto
all'espansione, all'acquisizione e alla soddisfazione dei bisogni sta per essere costretta a riconoscere
che queste mete non sono, di per sé, una guida realistica per i suoi indirizzi politici. Inidonei sono anche
quei modi di affrontare le questioni economiche i cui strumenti decisionali non possano affrontare
il fatto che la maggior parte dei più importanti problemi non sono particolari, ma globali.
12
La sincera speranza che questa crisi morale possa comunque essere risolta deificando la natura è un
segno della disperazione spirituale e intellettuale che la crisi ha generato. Il riconoscimento che il creato
è un complesso organico e che l'umanità ha il compito di averne cura, pur gradito, non rappresenta un'influenza
che possa di per sé introdurre nelle coscienze un nuovo sistema di valori. Solo un salto avanti
nella comprensione, che sia scientifico e spirituale nel vero senso della parola, darà alla razza umana
la capacità di assumere la funzione tutelare verso la quale la storia la sospinge.
O prima o poi tutti dovranno recuperare, per esempio, la capacità di accontentarsi, la disponibilità ad
accettare la disciplina morale e la dedizione al dovere che, fino a relativamente poco tempo fa, erano
considerati aspetti essenziali di ogni essere umano. Ripetutamente nella storia, gli insegnamenti dei
Fondatori delle grandi religioni sono stati capaci di instillare queste qualità del carattere nelle masse che
rispondevano loro. Queste qualità sono quanto mai essenziali oggigiorno, ma la loro espressione deve
ora assumere una forma adatta alla maturità del genere umano. Ancora una volta, le religioni sono sfidate
a liberarsi dall'ossessione del passato: accontentarsi non significa essere fatalisti; la moralità non
ha nulla a che vedere con il mortificante puritanesimo che ha così spesso presunto di parlare in suo nome
e una genuina devozione al dovere non comporta sentimenti di fariseismo ma di rispetto di se stessi.
L'effetto del persistente rifiuto di riconoscere alle donne la completa parità con gli uomini rende ancor
più ardita la sfida posta alla scienza e alla religione nella vita economica dell'umanità. Per qualsiasi
osservatore spassionato il principio della parità fra i sessi è fondamentale per tutto il pensiero realistico
sul futuro benessere della terra e delle sue genti. Rappresenta una verità sulla natura umana che ha atteso
ampiamente misconosciuta nelle lunghe ere dell'infanzia e dell'adolescenza della razza. «Uomini e
donne» afferma con forza Bahá'u'lláh «sono stati e sempre saranno uguali agli occhi di Dio». L'anima
razionale non ha sesso e chiaramente le iniquità sociali imposte in passato dalle necessità della sopravvivenza
non possono più essere giustificate ora che il genere umano si trova alle soglie della maturità.
L'impegno per l'introduzione della completa parità fra uomini e donne in tutti i settori della vita e a tutti
i livelli della società sarà fondamentale per il successo degli sforzi tesi a elaborare e applicare una strategia
per lo sviluppo globale.
In verità, cosa assai importante, il progresso in questo campo darà di per sé la misura del successo di
qualsiasi programma per lo sviluppo. Dato il ruolo fondamentale dell'attività economica nel progresso
della civiltà, un segno visibile del ritmo dei progressi dello sviluppo sarà la misura in cui le donne otterranno
accesso a tutti i settori dell'economia. La sfida va al di là dell'assicurare un'equa distribuzione
delle opportunità, per quanto importante ciò possa essere. Impone un ripensamento fondamentale delle
questioni economiche in maniera tale da incoraggiare la piena partecipazione di un segmento dell'esperienza
e dell'intuizione umana finora ampiamente escluso dal discorso. I classici modelli economici dei
mercati impersonali nei quali gli esseri umani agiscono come autori autonomi di scelte a se stanti non
rispondono ai bisogni di un mondo motivato da ideali di unità e giustizia. La società si troverà sempre
più sollecitata a sviluppare nuovi modelli economici conformati a intuizioni nate da un'amichevole
comprensione di esperienze condivise, da una visione degli esseri umani nelle loro relazioni con gli altri
e dal riconoscimento della fondamentale importanza del ruolo della famiglia e della comunità ai fini
del benessere sociale. Tale salto avanti intellettuale, focalizzato su uno spiccato altruismo invece che
sull'egocentrismo, deve attingere abbondantemente alla sensibilità spirituale e scientifica della razza e
millenni di esperienza hanno preparato le donne a contribuire in modo decisivo alla comune impresa.
13
VI
Esaminare una trasformazione della società di tali dimensioni significa porre l'interrogativo del potere
da utilizzare per realizzarla e la questione, strettamente collegata, dell'autorità di esercitare tale potere.
Come per tutte le altre implicazioni dell'accelerante integrazione del pianeta e del suo popolo, questi
due termini familiari hanno urgente bisogno di una ridefinizione.
Nel corso della storia, e malgrado le assicurazioni contrarie ispirate a teologie o ideologie, il potere è
stato perlopiù visto come un privilegio di persone o gruppi. Spesso, in verità, è stato espresso semplicemente
in termini di mezzi da usare contro gli altri. Questa interpretazione del potere è divenuta una
caratteristica intrinseca della cultura della divisione e del conflitto che, indipendentemente dagli orientamenti
sociali, religiosi o politici che hanno prevalso nelle varie epoche e nelle varie parti del mondo,
ha caratterizzato la razza umana per parecchi millenni. In genere, il potere è stato un attributo di individui,
fazioni, popoli, classi sociali e nazioni. È stato un attributo associato particolarmente agli uomini,
piuttosto che alle donne. Il suo principale effetto è stato quello di conferire ai suoi beneficiari la
possibilità di acquisire, essere superiore, dominare, resistere, vincere.
I processi storici che ne sono risultati sono stati responsabili di rovinose recessioni nel benessere dell'uomo
e di straordinari passi avanti della civiltà. Riconoscere i benefici significa ammettere anche le
recessioni, nonché gli evidenti limiti dei modelli comportamentali che hanno prodotto gli uni e le altre.
Le abitudini e gli atteggiamenti legati all'uso del potere che sono emersi nel corso delle lunghe ere dell'infanzia
e dell'adolescenza dell'umanità sono giunti agli estremi limiti dell'efficacia. Oggi, in un'èra la
maggior parte dei cui pressanti problemi sono globali, persistere nell'idea che potere significa vantaggio
per vari segmenti della famiglia umana è profondamente sbagliato in teoria e del tutto privo di utilità
pratica ai fini dello sviluppo sociale ed economico del pianeta. Coloro che ancora vi si mantengono fedeli,
e che in ere precedenti in tale fedeltà avrebbero potuto trovare sicurezza, scoprono ora che i loro
piani sono presi nelle maglie di inspiegabili frustrazioni e impedimenti. Il potere, nella sua tradizionale
espressione competitiva, è insignificante ai fini dei bisogni del futuro dell'umanità, come la tecnologia
della locomozione ferroviaria lo è ai fini della messa in orbita di un satellite attorno alla terra.
L'analogia è più che appropriata. La razza umana è sollecitata dai requisiti della sua stessa maturazione
a liberarsi dal concetto e dall'uso del potere che ha ereditato. Che possa farlo lo dimostra il fatto
che, pur dominata dal concetto tradizionale di potere, l'umanità è sempre stata capace di concepirlo in
altre forme decisive per le sue speranze. La storia dimostra ampiamente che, pur sporadicamente e a
sproposito, persone di ogni provenienza, in tutte le epoche, hanno trovato dentro se stesse un'ampia
gamma di risorse creative. L'esempio più ovvio è stato, probabilmente, quello del potere della verità, un
fattore di cambiamento associato ad alcuni dei più grandi passi avanti nell'esperienza filosofica, religiosa,
artistica e scientifica della razza. La forza di carattere rappresenta un altro strumento per mobilitare
un'immensa risposta umana, come anche l'influenza dell'esempio sulla vita di singoli esseri umani o
sulla società. Pressoché ignorata è l'enormità della forza che sarà generata dal conseguimento dell'unità,
un'influenza «tanto potente», nelle parole di Bahá'u'lláh, «che può illuminare il mondo intero».
14
Le istituzioni della società riusciranno a evocare e indirizzare le potenzialità latenti nella coscienza
dei popoli del mondo nella misura in cui l'esercizio dell'autorità sarà regolato da principi che siano in
armonia con gli interessi in evoluzione di una razza umana che sta rapidamente maturando. Fra questi
principi vi è l'obbligo per coloro che detengono l'autorità di conquistare la fiducia, il rispetto e il sincero
appoggio di coloro le cui azioni essi cercano di governare, di consultarsi apertamente e nella misura più
completa possibile con tutti coloro i cui interessi sono influenzati dalle decisioni da prendere, di accertare
in modo obiettivo i reali bisogni e le aspirazioni delle comunità che essi servono, di avvalersi del
progresso scientifico e morale al fine di utilizzare convenientemente le risorse della comunità, comprese
le energie dei suoi membri. Fra i principi di un'efficace autorità nessuno è altrettanto importante
quanto quello di dare la priorità alla creazione e al mantenimento dell'unità fra i membri della società e
i membri delle sue istituzioni amministrative. Si è già accennato alla questione strettamente collegata
dell'impegno nella ricerca della giustizia in ogni cosa.
Chiaramente, questi principi possono operare soltanto in seno a una cultura che sia essenzialmente
democratica nello spirito e nei metodi. Dire questo, tuttavia, non significa avvallare l'ideologia delle
parti che ha dappertutto preso il nome della democrazia e che, malgrado gli imponenti contributi al progresso
umano nel passato, si trova oggi impantanata nel cinismo, nell'apatia e nella corruzione ai quali
essa stessa ha dato origine. Per scegliere coloro che devono prendere decisioni collettive a suo nome, la
società non ha bisogno del teatro politico delle nomine, delle candidature, delle campagne elettorali e
delle petizioni e non ne ricava niente di buono. È nelle capacità di tutti i popoli, via via che progressivamente
diventano istruiti e si convincono che certi programmi proposti loro possono servire ai veri interessi
del loro sviluppo, adottare procedure elettorali che a poco a poco perfezionino la scelta dei loro
organi decisionali.
Mentre l'integrazione dell'umanità acquista impeto, coloro che vengono eletti dovranno sempre più
vedere tutti i loro sforzi in una prospettiva globale. Nell'opinione di Bahá'u'lláh, coloro che sono eletti
per governare gli affari umani devono considerarsi responsabili del benessere dell'intera umanità non
solo a livello nazionale, ma anche a quello locale.
VII
Il compito di creare una strategia per lo sviluppo globale che acceleri il conseguimento della maturità
da parte del genere umano costituisce una sfida a rimodellare radicalmente tutte le istituzioni della
società. I protagonisti, ai quali la sfida è rivolta, sono tutti gli abitanti del pianeta: il genere umano nel
suo complesso, i membri delle istituzioni di governo a tutti i livelli, coloro che operano negli organismi
di coordinamento internazionale, gli scienziati e i pensatori sociali, tutte le persone dotate di talento artistico,
tutti coloro che hanno accesso ai mezzi di comunicazione e i leader degli organismi non governativi.
La risposta richiesta deve basarsi su un incondizionato riconoscimento dell'unità del genere umano,
sull'impegno a dare alla giustizia il ruolo di principio informatore della società e sulla determinazione
di utilizzare al massimo le possibilità che un sistematico dialogo fra il genio scientifico e quello
religioso della razza può offire per la formazione delle capacità umane. L'impresa richiede un radicale
ripensamento della maggior parte dei concetti e dei presupposti che oggi governano la vita sociale ed
economica. Dev'essere inoltre associato alla convinzione che, per quanto lungo il processo e malgrado
15
le sconfitte, il governo degli affari umani potrà essere condotto su binari che servano ai reali bisogni
dell'umanità.
Solo se l'infanzia collettiva del genere umano si è veramente conclusa e se sta sorgendo l'età adulta,
questa prospettiva rappresenta qualcosa di più che un'ulteriore miraggio utopistico. Immaginare che un'impresa
delle dimensioni qui prospettate possa essere intimata a popoli e nazioni scoraggiati e antagonisti
va contro tutto quello che la saggezza ci ha insegnato. Solo se il corso dell'evoluzione sociale è
giunto, come Bahá'u'lláh sostiene, a uno di quei momenti cruciali nei quali tutti i fenomeni dell'esistenza
sono improvvisamente spinti verso nuovi stadi del loro sviluppo, tale possibilità diventa concepibile.
La profonda convinzione che una trasformazione così grande nella coscienza umana è in atto ha ispirato
le opinioni esposte in questa dichiarazione. A tutti coloro che vi riconoscono suggerimenti familiari
provenienti dai loro stessi cuori, le parole di Bahá'u'lláh danno la sicurezza che in questo giorno incomparabile
Dio ha conferito all'umanità risorse spirituali del tutto adeguate alla sfida:
O abitatori dei cieli e della terra! È apparso ciò che non era mai apparso prima.
Questo è il Giorno in cui i più eccellenti favori di Dio sono stati dispensati agli uomini, il
Giorno in cui la Sua più potente grazia è stata infusa in tutte le cose create.
Il tumulto che oggi sconvolge le faccende umane non ha precedenti e molte delle sue conseguenze
sono enormemente distruttive. Pericoli mai immaginati in tutta la storia si addensano attorno a un'umanità
tormentata. Ma il più grande errore che i leader del mondo potrebbero compiere in questa congiuntura
sarebbe quello di permettere che la crisi faccia dubitare del risultato. Un mondo sta scomparendo e
un mondo nuovo sta lottando per nascere. Le abitudini, gli atteggiamenti e le istituzioni che si sono accumulati
nel corso dei secoli sono sottoposte a prove che sono tanto necessarie allo sviluppo umano
quanto inevitabili. Ai popoli del mondo è richiesta una misura di fede e di determinazione che sia pari
alle immense energie di cui il Creatore di tutte le cose ha dotato questa primavera spirituale della razza.
«Siate uniti nelle opinioni», è l'appello di Bahá'u'lláh
e un sol uomo nei pensieri; ogni mattina sorga migiore della sera che l'ha preceduta e ogni
giorno più ricco del suo ieri. Il merito dell'uomo è nel servizio e nelle virtù e non nello
sfarzo dell'opulenza e della dovizia. Badate che le vostre parole siano forbite da oziose fantasie
e desideri mondani e che le vostre opere siano purificate dall'astuzia e dal sospetto.
No sperperate i tesori delle vostre vite preziose ad incalzar affetti turpi e corrotti e non
sprecate energie nel curare i vostri interessi personali. Siate generosi nelle ore di prosperità
e nei giorni di distretta pazientate. L'avversità è seguita dal successo e alla gioia succede
il dolore. Guardatevi dall'ozio e dall'indolenza e afferratevi a ciò che giova a tutti, giovani e
vecchi, nobili o umili. Attenti a non seminare zizzanie di dissenso fra gli uomini e a non
piantare i rovi del dubbio in cuori puri e radiosi.