UNA FEDE COMUNE
CASA EDITRICE BAHÁ’Í
получить кредит наличными2005
@ Copyright 2001 - Casa Editrice Bahá’í - Ariccia
Titolo originale: One Common Faith
взять кредит наличными1a edizione italiana 2005
C size="1">ASA EDITRICE BAHÁ’Í
Sede legale: 00197 Roma - Via Stoppani, 10 - Tel. 06 8079647
Deposito e amm.ne: 00040 Ariccia (Roma) Via F. Turati, 9 - Tel. 06 9334334
ISBN 88-7214.085-4
PREMESSA
EL RI DVÁN 2002 abbiamo scritto una lettera indirizzata ai capi
religiosi del mondo. Il nostro gesto è nato dalla consapevolezza
che, se non sarà risolutamente fermato, il morbo degli odi settari
comporterà devastanti conseguenze che risparmieranno ben poche parti
del mondo. La lettera esprimeva apprezzamento per i risultati del movimento
interreligioso, al quale i bahá’í hanno cercato di contribuire fin dalla
sua nascita. Ma ci siamo sentiti di dire con franchezza che, se si vuole affrontare
la crisi religiosa con la stessa serietà con cui si affrontano altri
pregiudizi che affliggono l’umanità, la religione organizzata deve trovare
in se stessa altrettanto coraggio per superare alcuni concetti consolidati che
ha ereditato da un remoto passato.
Ma soprattutto abbiamo espresso la convinzione che è arrivato il momento
che i capi religiosi affrontino con onestà e senza ulteriori rinvii le
conseguenze della verità che Dio è uno solo e che, prescindendo da ogni
diversità di espressione culturale e interpretazione umana, anche la religione
è una sola. L’intuizione di questa verità ha originariamente ispirato
il movimento interreligioso e lo ha sorretto attraverso tutte le traversie degli
ultimi cent’anni. Lungi dal contestare la validità delle grandi fedi rivelate,
align="left">questo principio può assicurarne la continua attualità. Ma per poter
esercitare la propria influenza, il riconoscimento di questa realtà deve agi-
N
iv UNA FEDE COMUNE
re nel cuore del discorso religioso e, così pensando, abbiamo ritenuto che
la nostra lettera dovesse dirlo esplicitamente.
La risposta è stata incoraggiante. Le istituzioni bahá’í di tutto il mondo
hanno fatto consegnare migliaia di copie del documento a influenti personaggi
delle grandi comunità religiose. Che in alcuni ambienti il messaggio
in esso contenuto sia stato sbrigativamente accantonato non è stata una
sorpresa. Ma i bahá’í riferiscono di essere stati, in genere, accolti con calore.
Particolarmente toccante è stata l’ovvia sincerità dei molti che nel ricevere
il messaggio hanno espresso angoscia perché le istituzioni religiose
non riescono ad aiutare l’umanità ad affrontare problemi la cui natura è essenzialmente
spirituale e morale. Le discussioni si sono rapidamente orientate
sulla necessità che le masse dei credenti modifichino sostanzialmente
il modo in cui si rapportano reciprocamente e un discreto numero di coloro
che hanno ricevuto la lettera hanno voluto riprodurla per distribuirla ad altri
sacerdoti della medesima tradizione. Abbiamo la speranza che la nostra
iniziativa agisca da catalizzatore aprendo la strada verso una nuova comprensione
dello scopo della religione.
Veloce o lento che sia questo cambiamento, i bahá’í devono pensare alla
propria responsabilità sotto questo aspetto. Il compito di fare in modo
che tutto il mondo si possa avvalere del Suo messaggio è stato posto da
Bahá’u’lláh in primo luogo sulle spalle di coloro che Lo hanno riconosciuto.
E questo è stato certamente il lavoro che la comunità bahá’í ha svolto
per l’intero corso della storia della Fede. Ma il sempre più rapido tracollo
dell’ordine sociale richiede disperatamente che lo spirito religioso sia liberato
dalle catene che gli hanno finora impedito di esercitare l’influenza risanatrice
di cui è capace.
Se vogliono rispondere a questo bisogno, i bahá’í devono basarsi su
una profonda comprensione del processo attraverso il quale la vita spirituale
dell’umanità si evolve. Negli scritti di Bahá’u’lláh si trovano alcune
idee che possono contribuire a sollevare il dibattito sui temi religiosi al di
sopra di transitorie considerazioni settarie. La responsabilità di avvalersi di
questa risorsa spirituale è inseparabile dal dono della fede. «L’odio e il faUNA
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natismo religioso», ammonisce Bahá’u’lláh, «sono per il mondo un fuoco
divoratore la cui violenza nessuno può placare: soltanto la Mano del potere
divino può liberare l’umanità da questa desolante afflizione…». Lungi dal
sentirsi privi di appoggi negli sforzi che compiono per rispondere, i bahá’í
arriveranno a capire sempre meglio che la Causa che essi servono è la testa
di ponte di un risveglio che si sta verificando fra le persone di tutto il
mondo, indipendentemente dall’origine religiosa e, in verità, anche fra
molti di coloro che non hanno alcuna inclinazione religiosa.
La riflessione su questa sfida ci ha indotti a commissionare il commento
che segue. Una fede comune, elaborato sotto la nostra supervisione, esamina
alcuni passi attinenti degli scritti di Bahá’u’lláh e delle scritture di
altre fedi alla luce della crisi contemporanea. Lo raccomandiamo alla riflessione
e allo studio degli amici.
align="left">LA CASA UNIVERSALE DI GIUSTIZIA
Naw-Rúz 2005
UNA FEDE COMUNE
BBIAMO RAGIONE DI CREDERE che il periodo storico che si sta
aprendo sarà ben più sensibile del secolo appena concluso
all’opera di divulgazione del messaggio di Bahá’u’lláh. Tutto
indica che la coscienza umana sta subendo una straordinaria metamorfosi.
Fin dall’inizio del XX secolo l’interpretazione materialistica della realtà
si è talmente consolidata da diventare la fede mondiale dominante, almeno
per quanto riguarda l’orientamento della società. Questo processo ha bruscamente
dirottato la civilizzazione della natura umana dall’orbita che aveva
seguito per migliaia d’anni. Per molti occidentali l’autorità divina
che, pur nelle diverse interpretazioni della sua natura, era sempre stata il
centro focale della guida sembrò essersi semplicemente dissolta e dileguata.
L’individuo fu per lo più lasciato libero di mantenere il rapporto che egli
credeva legasse la sua vita a un mondo trascendente l’esistenza materiale,
ma la società nel suo comp lesso procedette con crescente fiducia
verso il superamento della propria dipendenza da una concezione
dell’universo che era giudicata nel migliore dei casi una favola e nel peggiore
una droga, e in ogni caso un ostacolo al progresso. L’umanità aveva
preso in mano i propri destini e, con le sue sperimentazioni e i suoi discor-
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si razionali, aveva risolto – così fu dato da intendere alla gente – tutti i temi
fondamentali relativi all’arte del governo e allo sviluppo.
Questa posizione fu rafforzata dalla convinzione che i valori, gli ideali
e le discipline coltivate per secoli fossero ora caratteristiche verosimilmente
stabili e permanenti della natura umana. Occorreva solo raffinarle con
l’educazione e rafforzarle mediante provvedimenti legislativi. Il retaggio
morale del passato era tutto qui: un’imprescrittibile eredità del genere umano,
che non abbisognava di ulteriori interventi religiosi. Si ammetteva
anche che individui, gruppi o nazioni indocili avrebbero continuato a minacciare
la stabilità dell’ordine sociale e a richiedere interventi correttivi.
Ma la civiltà universale verso la cui realizzazione tutte le forze della storia
avevano spinto la razza umana e che stava ora irresistibilmente emergendo
era ispirata alla concezione laica della realtà. La felicità sarebbe stata la
naturale conseguenza di una migliore salute, di una migliore alimentazione,
di una migliore educazione, di migliori condizioni di vita – e il conseguimento
di queste, sicuramente auspicabili, mete sembrava alla portata di
una società compattamente concentrata sul loro perseguimento.
Ma in quelle parti del mondo nelle quali vive la stragrande maggioranza
della popolazione della terra i disinvolti annunci che dicevano «Dio è
morto» erano passati quasi inosservati. L’esperienza aveva da lungo tempo
confermato alle popolazioni dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina e
del Pacifico che la natura umana non è solo profondamente influenzata da
forze spirituali, ma ha un’identità spirituale. Di conseguenza la religione
continuò a essere, come sempre, la massima autorità della vita. Ma queste
convinzioni, pur non essendo mai state direttamente affrontate dalla rivoluzione
ideologica che si stava svolgendo in Occidente, ne furono praticamente
emarginate, almeno per quanto riguardava l’interazione fra popoli e
nazioni. Avendo permeato e conquistato tutti gli importanti centri di potere
e di informazione a livello globale, il materialismo dogmatico fece in modo
che nessuna voce competitiva mantenesse la capacità di contestare i
suoi progetti di sfruttamento economico mondiale. Al danno culturale già
inflitto da due secoli di dominazione coloniale si aggiunse un’angosciante
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align="left">spaccatura fra le esperienze interiori ed esteriori delle masse interessate,
una condizione che invase quasi tutti gli aspetti della vita. Incapaci di esercitare
una vera influenza sulla formazione del proprio futuro, o perfino
di preservare il benessere morale dei propri figli, queste popolazioni affondarono
align="left">in una crisi diversa ma sotto molti aspetti ancor più devastante
di quella che si andava intensificando in Europa e nel Nord America. Pur
mantenendo il proprio ruolo centrale nelle coscienze, la fede si dimostrò
incapace di influenzare il corso degli eventi.
Sullo scorcio del XX secolo, nulla sembrava più improbabile di
un’improvvisa ricomparsa della religione fra i temi di pressante importanza
globale. Eppure è proprio ciò che è accaduto nella forma di un’ondata
di ansietà e di malcontento, per lo più solo vagamente consapevole del
senso di vuoto spirituale che la sta sollevando. Antichi conflitti settari, apparentemente
refrattari alle pazienti arti della diplomazia, sono riemersi
con una virulenza mai prima conosciuta. Temi scritturali, fenomeni miracolistici
e dogmi teologici che, fino a poco tempo fa, erano stati accantonati
come rimanenze di un’epoca ignorante si trovano solennemente, e indiscriminatamente,
analizzati in influenti mezzi d’informazione. In molti paesi,
le credenziali religiose hanno assunto un nuovo convincente significato
nella candidatura di chi aspiri a una carica politica. Il mondo che aveva
pensato che con la caduta del muro di Berlino fosse incominciata un’era di
pace internazionale è ora avvisato che si trova alle prese con una guerra di
civiltà la cui caratteristica principale è un insieme di inconciliabili avversioni
religiose. Librerie, edicole, siti Web e biblioteche cercano di soddisfare
un’apparentemente insaziabile sete di informazioni su temi religiosi e
spirituali da parte dei lettori. Forse il fattore di cambiamento più costante è
il riluttante riconoscimento del fatto che non esiste un sostituto credibile
che possa rimpiazzare la fede religiosa come forza capace di generare autodisciplina
e di ripristinare la dedizione al comportamento morale.
Oltre all’attenzione che la religione, com’è comunemente intesa, sta
incominciando ad ottenere, c’è anche una generale reviviscenza della ricerca
spirituale. Espressa abitualmente come bisogno di scoprire
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un’identità personale che trascenda quella puramente fisica, questa reviviscenza
incentiva una serie di attività, positive e negative. Da una parte, la
ricerca della giustizia e la promozione della causa della pace internazionale
tendono anche a stimolare nuove visioni del ruolo dell’individuo nella
società. Analogamente, sebbene tesi soprattutto a procurarsi un appoggio
per modificare i metodi decisionali della società, alcuni movimenti come
l’ambientalismo e il femminismo inducono la gente a riesaminare il senso
di se stessi e dello scopo della vita. Un nuovo orientamento presente in tutte
le grandi comunità religiose è una crescente migrazione dei credenti dai
rami tradizionali delle fedi originarie verso quelle sette che attribuiscono
un’importanza primaria alla ricerca spirituale e alle esperienze personali
dei propri membri. Al polo opposto, avvistamenti extraterrestri, regimi dediti
alla scoperta dell’io, ritiri in ambienti naturali, esaltazioni carismatiche,
entusiasmi New Age e l’attribuzione alla droga e agli allucinogeni della
capacità di potenziare lo stato di coscienza attraggono seguiti ben più
vasti e diversificati di quanto abbiano fatto lo spiritismo o la teosofia in
un’analoga congiuntura storica un secolo fa. Questa proliferazione di culti
e pratiche che possono suscitare avversione nella mente di molti ricorda ai
bahá’í la saggezza dell’ant ica storia di Majnún, che setacciava la polvere
per cercare l’amata Laylí, pur sapendo che era spirito puro: «La cerco ovunque,
a che, forse, in qualche luogo possa trovarla».1
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Il ridestato interesse per la religione è sicuramente ancora molto lontano
dal culmine, tanto nella sua forma esplicitamente religiosa quanto nelle sue
mal definibili manifestazioni spirituali. Al contrario, questo fenomeno è
prodotto da forze storiche che stanno costantemente consolidandosi. Il loro
effetto comune è quello di erodere la certezza, lasciata in eredità al mondo
dal XX secolo, che l’esistenza materiale rappresenti la realtà ultima.
La causa più ovvia di queste rivalutazioni è stata il fa llimento
dell’intera impresa materialista. Per oltre cent’anni, l’idea del progresso è
stata identificata con lo sviluppo economico e con la sua capacità di motiUNA
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vare e plasmare il miglioramento sociale. Le differenze di opinioni esistenti
in quei tempi non contestavano questa visione del mondo, ma solo alcuni
concetti sul modo migliore per raggiungerne gli intenti. La sua forma più
estrema, il ferreo dogma del «materialismo scientifico», tentò di rileggere
nei propri angusti termini tutti gli aspetti della storia del comportamento
umano. Anche se alcuni dei suoi primi propugnatori possono essersi ispirati
a un ideale umanitario, il risultato universale fu la formazione di regimi
di controllo totalitario pronti a usare ogni mezzo di coercizione per regolare
la vita delle sventurate popolazioni ad essi soggette. Lo scopo indicato
per giustificare quegli abusi era la creazione di un nuovo tipo di società
che avrebbe assicurato non solo la libertà dal bisogno ma anche
l’appagamento dello spirito umano. Alla fine, dopo ottant’anni di crescente
follia e brutalità, il movimento è crollato come credibile guida verso il futuro
del mondo.
Anche gli altri sistemi di sperimentazione sociale, pur ripudiando il ricorso
a metodi inumani, traevano il loro impulso morale e intellettuale dalla
medesima angusta concezione della realtà. Si radicò la convinzione che,
essendo gli esseri umani attori fondamentalmente motivati da interessi personali
nelle cose riguardanti il proprio benessere economico, la creazione
di società giuste e prosperose potesse essere assicurata solo da uno dei
molti schemi di quella che era definita modernizzazione. Ma gli ultimi decenni
del XX secolo si sono piegati sotto il crescente peso di prove contrarie:
la crisi della vita familiare, la crescente criminalità, le disfunzioni dei
sistemi educativi e un lungo elenco di altre patologie sociali che riportano
alla mente le solenni parole del monito di Bahá’u’lláh sulle imminenti
condizioni della società umana: «Tale sarà la sua triste sorte che svelarla
adesso non sarebbe né conveniente né opportuno».2
La sorte di quello che il mondo ha imparato a chiamare sviluppo socioeconomico
non ha lasciato dubbi sul fatto che neppure le motivazioni più
idealistiche sono in grado di correggere i fondamentali errori del materialismo.
Nato sulla scia del caos della seconda Guerra mondiale, lo «sviluppo
» è diventato la più vasta e ambiziosa impresa collettiva alla quale la
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razza umana si sia mai dedicata. La sua motivazione umanitaria è stata pari
all’enorme investimento materiale e tecnologico che ha richiesto. Cinquant’anni
dopo, pur riconoscendo i grandi benefici prodotti dallo sviluppo,
l’impresa dev’essere considerata, in base ai suoi stessi criteri, uno scoraggiante
fallimento. Lungi dal diminuire il divario fra il benessere del
piccolo segmento della famiglia umana che gode dei benefici della modernità
e le condizioni delle vaste popolazioni sprofondate in una disperata
indigenza, lo sforzo collettivo iniziatosi con tante speranze ha visto quel
divario trasformarsi in un abisso.
La cultura consumistica, erede per inadempienza del vangelo del miglioramento
umano dettato dal materialismo, non prova imbarazzo oggi davanti
all’effimerità delle aspirazioni che l’ispirano. Per la piccola minoranza
delle persone che se li possono permettere, i benefici che essa offre sono
immediati e la sua logica non ha bisogno di giustificazioni. Imbaldanzita
dal tracollo della moralità tradizionale, l’avanzata del nuovo credo non è
altro che il trionfo di una pulsione animale, tanto istintiva e cieca quanto
l’avidità, finalmente libera da freni di sanzioni sovrannaturali. La sua vittima
più ovvia è stata il linguaggio. Tendenze un tempo universalmente condannate
come debolezze morali diventano necessità del progresso sociale.
L’egoismo si converte in un’apprezzata risorsa commerciale, la falsità si
ricicla come informazione del pubblico, perversioni di vario genere pretendono
sfrontatamente lo stato di diritti civili. Sotto le forme di appropriati
eufemismi, l’avidità, la lussuria, l’indolenza, l’orgoglio, perfino la violenza,
non solo riscuotono vasti consensi, ma acquistano valore sociale ed economico.
Ironicamente, come le parole hanno perso il loro significato, altrettanto
è accaduto alle comodità e alle acquisizioni materiali alle quali la
verità è stata disinvo ltamente sacrificata.
Chiaramente, l’errore del materialismo non è stato il suo encomiabile
sforzo di migliorare le condizioni di vita, ma la ristrettezza mentale e
l’ingiustificata baldanza che ne hanno definito la missione. L’importanza
della prosperità materiale e dei progressi scientifici e tecnologici necessari
per conseguirla è un tema ricorrente negli scritti della Fede bahá’í. Ma
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com’era inevitabile fin dal principio, gli arbitrari tentativi di separare il benessere
fisico e materiale dell’umanità dal suo sviluppo spirituale e morale
ha finito per alienare le simpatie di quelle stesse popolazioni i cui interessi
la cultura materialistica si propone di servire. «Vedete come ogni giorno il
mondo sia afflitto da nuove calamità», ammonisce Bahá’u’lláh. «Il suo male
s’avvicina alla fase dell’inguaribilità assoluta, perché s’impedisce al vero
Medico di somministrare il rimedio, mentre ai ciarlatani è fatta benevola accoglienza
e accordata piena libertà di azione».3
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align="left">Oltre alla disillusione delle promesse del materialismo, una forza di cambiamento
che indebolisce le errate concezioni della realtà che l’umanità si è
portata nel XXI secolo è l’integrazione globale. Nel suo aspetto più semplice,
questa forza assume le forme dei progressi delle tecnologie della comunicazione
che aprono importanti strade all’integrazione delle varie popolazioni
del pianeta. Oltre a facilitare gli scambi interpersonali e intersociali, il generale
accesso all’informazione finisce per far diventare il sapere accumulato
delle ere, finora riservato a privilegiate elite, un patrimonio dell’intera famiglia
umana, senza distinzioni di nazione, razza o cultura. Malgrado tutte le
madornali iniquità che l’integrazione globale perpetua, anzi aggrava, nessun
osservatore informato può disconoscere lo stimolo alla riflessione sulla realtà
che questi cambiamenti hanno prodotto. E la riflessione ha messo in discussione
tutte le autorità costituite, non solo quella della religione e della
moralità, ma anche quella del governo, della cultura accademica, del commercio,
dei mezzi d’informazione e, sempre più spesso, anche que lla
dell’opinione della scienza.
Oltre agli aspetti tecnologici, l’unificazione del pianeta sta producendo
altri, ancor più diretti, effetti sul pensiero. È impossibile sopravvalutare,
per esempio, l’entità della trasformazione della coscienza globale indotta
dai viaggi internazionali massificati. Ancor più importanti sono state le
conseguenze delle ingenti migrazioni che il mondo ha visto nei centocinquant’anni
trascorsi da quando il Báb dichiarò la Sua missione. Milioni di
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rifugiati in fuga davanti alle persecuzioni hanno percorso avanti e indietro
come grandi mareggiate i continenti europeo, africano e asiatico, soprattutto.
Dietro il dolore prodotto da questo tumulto s’intravede la progressiva
integrazione delle razze e delle culture del mo ndo nella cittadinanza di
un’unica patria globale. Persone di tutte le provenienze sono state esposte
alle culture e alle norme di altre persone delle quali i loro progenitori sapevano
poco o punto e questo ha stimolato una ricerca di significato alla
quale non si può sfuggire.
È impossibile immaginare come sarebbe stata la storia degli ultimi centocinquant’anni
se uno dei principali arbitri delle cose del mondo cui Bahá’u’lláh
Si rivolse si fosse dato la pena di riflettere su una concezione
della realtà suffragata dalle credenziali morali del proprio Autore, credenziali
morali del tipo che essi affermavano di tenere nella più alta considerazione.
Ma per i bahá’í è incontrovertibile che, malgrado questa inadempienza,
le trasformazioni annunciate dal messaggio di Bahá’u’lláh si stanno
irresistibilmente realizzando. Grazie alle scoperte e alle traversie che
condividono, i popoli delle diverse culture stanno arrivando a confrontarsi
con quella comune umanità che si trova sotto una superficie di immaginarie
differenze di identità. Accanitamente osteggiato in alcune società e benevolmente
accolto altrove come una liberazione da limitazioni insensate e
soffocanti, il sentimento che gli abitanti della terra sono in realtà «foglie di
un unico albero»4 sta a poco a poco diventando il metro per la valutazione
degli sforzi collettivi dell’umanità.
Il crollo della fede nelle certezze del materialismo e la progressiva globalizzazione
dell’esperienza umana si rafforzano reciprocamente nella voglia
di comprendere lo scopo dell’esistenza che essi ispirano. Si contestano
valori fondamentali, si abbandonano attaccamenti parrocchiali, si accettano
richieste un tempo impensabili. È questo lo sconvolgimento universale,
spiega Bahá’u’lláh, che le scritture delle antiche religioni hanno descritto
con l’immagine del «giorno della Resurrezione»: «Il grido è stato lanciato
e le genti sono uscite dai sepolcri e alzandosi si guardano attorno».5 Al di
là di tutte le dislocazioni e le sofferenze, il processo è essenzialmente spiUNA
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rituale: «Ha spirato la brezza del Misericorde e le anime sono state risvegliate
negli avelli dei loro corpi».6
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Nell’intero corso della storia, i principali fattori dello sviluppo spirituale
sono state le grandi religioni. Per la maggioranza degli uomini della terra
le scritture di questi grandi sistemi di credenze sono stati, nelle parole di
Bahá’u’lláh, «la Città di Dio»,7 una fonte di sapere che abbraccia totalmente
la coscienza, un sapere così convincente da dotare i sinceri «d’un
nuovo occhio, d’un nuovo orecchio, d’un nuovo cuore e di una nuova
mente».8 Una vasta letteratura, alla quale hanno contribuito tutte le culture
religiose, documenta l’esperienza del trascendente narrata da generazioni
di ricercatori. Per millenni, la vita di coloro che hanno risposto alle intimazioni
del Divino ha ispirato opere strabilianti nel campo della musica,
dell’architettura e di altre arti, opere che hanno incessantemente rinnovato
l’esperienza dell’anima per milioni di confratelli. Nessun’altra forza al
mondo è stata capace di evocare dagli esseri umani altrettanto eroismo,
abnegazione e autodisciplina. A livello sociale, i principi morali che ne
sono scaturiti si sono ripetutamente tradotti in codici universali di leggi, a
regolare e nobilitare le relazioni umane. Viste nel loro vero significato, le
grandi religioni spiccano come le grandi forze motrici del processo
dell’incivilimento. Chi sostiene il contrario ignora i fatti della storia.
Perché mai, dunque, questo retaggio così ricco non è l’elemento centrale
dell’odierno risveglio della ricerca spirituale? Si stanno marginalmente
compiendo sinceri tentativi per riformulare gli insegnamenti che hanno
dato origine alle varie fedi, nella speranza di rinnovarne il fascino, ma la
maggior parte della ricerca è sparpagliata, individuale e sconnessa. Le
scritture non sono cambiate, i principi morali in esse contenuti non hanno
perso niente della loro validità. Chiunque rivolga sinceramente le proprie
domande al Cielo, se persevera, riesce a scoprire una parola di risposta nei
Salmi o nelle Upanishad. Chiunque abbia una qualche intuizione della Realtà
che trascende questa realtà materiale viene toccato nel cuore dalle paUNA
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role con cui Gesù o Buddha ne parla con tanta intimità. Le visioni apocalittiche
del Corano continuano a offrire ai lettori la convincente rassicurazione
che, nello scopo divino, la realizzazione della giustizia occupa una
posizione centrale. E, nei loro aspetti essenziali, le vite degli eroi e dei
santi non sembrano aver perso il significato che avevano quando furono
vissute secoli fa. Per molte persone di fede, perciò, l’aspetto più doloroso
dell’attuale crisi della civiltà è che la ricerca della verità non si sia indirizzata
con fiducia verso le familiari strade della religione.
Il problema è, ovviamente, duplice. L’anima razionale non si limita ad
occupare una sfera privata, ma è una componente attiva dell’ordine sociale.
Anche se le verità ricevute dalle grandi fedi restano valide, l’esperienza
quotidiana dell’uomo del XXI secolo è inimmaginabilmente lontana da
quella che avrebbe conosciuto nelle epoche in cui quella guida è stata rivelata.
Il processo decisionale democratico ha radicalmente modificato il
rapporto fra l’individuo e l’autorità. Con sempre maggior fiducia e successo,
le donne giustamente insistono sul loro diritto alla piena parità con gli
uomini. Le rivoluzioni della scienza e della tecnologia modificano non solo
il funzionamento della società, ma anche il suo concetto, anzi modificano
il concetto dell’esistenza stessa. L’educazione universale e un’intensa
align="left">proliferazione di nuovi campi della creatività aprono la strada a visioni che
facilitano la mobilità e l’integrazione sociale e creano opportunità dalle
quali le regole della legge incoraggiano il cittadino a trarre pieno profitto.
La ricerca sulle cellule staminali, l’energia nucleare, l’identità sessuale, la
pressione ecologica e l’uso delle ricchezze sollevano, a dir poco, problemi
sociali che non hanno precedenti. Tutte queste cose e un’infinità di altri
cambiamenti in ogni aspetto della vita umana hanno posto tanto la società
quanto i suoi membri davanti a un nuovo mondo di scelte quotidiane. Ma
non è cambiato l’imprescindibile requisito di fare, bene o male, quelle
scelte. È qui che la natura spirituale della crisi contemporanea diventa più
chiara, perché la maggior parte delle decisioni non sono semplicemente
pratiche, sono morali. Perciò, la perdita della fede nella religione tradizionale
è stata per lo più l’inevitabile conseguenza del fatto che non si è riuUNA
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sciti a trovare in essa la guida necessaria per vivere la modernità con successo
e con fiducia.
Un secondo ostacolo alla rinascita dei sistemi delle credenze ereditate
come risposta agli aneliti spirituali dell’umanità sono gli effetti della globalizzazione
cui si è già accennato. In tutto il pianeta, persone che sono
cresciute in un dato sistema di riferimento religioso si trovano improvvisamente
costrette a stare accanto ad altre persone le cui credenze e i cui usi
appaiono di primo acchito irrimediabilmente diversi dai loro. Le differenze
possono dare origine ad atteggiamenti di difesa, a sotterranei risentimenti e
ad aperti conflitti, e spesso lo fanno. Ma molte volte spingono a riesaminare
le dottrine ereditate e incoraggiano la ricerca nel tentativo di scoprire
align="left">valori comuni. L’appoggio ottenuto dalle varie attività interreligiose è indubbiamente
per lo più dovuto a questo tipo di reazione da parte della ge nte.
Questi atteggiamenti comportano un’inevitabile contestazione delle
dottrine religiose che ostacolano l’associazione e la comprensione. Ma se
align="left">molte persone la cui fede appare fond amentalmente diversa dalla propria
vivono nondimeno una vita morale degna di ammirazione, che cos’è che
rende la propria fede sup eriore alla loro? In altre parole, se tutte le grandi
religioni condividono alcuni valori fondamentali, gli attaccamenti settari
non rischiano di rafforzare incresciose barriere fra una persona e il suo
prossimo?
Ben pochi di coloro che hanno una qualche cognizione obiettiva di
questo tema s’illudono oggi che uno degli antichi sistemi di fede consolidati
possa assumere il ruolo di ultima guida dell’umanità nei problemi della
vita contemporanea, anche nell’improbabile eventualità che le sue varie
sette si riunissero allo scopo. Ciascuna di quelle che il mondo considera
religioni indipendenti è inquadrata in una forma creata dalle sue autorevoli
scritture e dalla sua storia. Non potendo rimodellare il proprio sistema di
credenze in modo da trarre legittimità dalle autorevoli parole del proprio
Fondatore, esse non possono neppure rispondere adeguatamente ai moltissimi
align="left">interrogativi suscitati dall’evoluzione sociale e intellettuale. Per qua nto
doloroso sia per molti, tutto questo non è altro che un aspetto intrinseco
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del processo evolutivo. Qualsiasi tentativo di forzare un’inversione può solo
portare a una maggiore disillusione nei confronti della religione ed esacerbare
il conflitto fra le sette.
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Il dilemma è artificiale e autoindotto. L’ordine mondiale, se possiamo così
chiamarlo, nel quale i bahá’í svolgono l’opera di condivisione del messaggio
di Bahá’u’lláh ha una concezione della natura umana e dell’evoluzione
sociale così radicalmente sbagliata da ostacolare gravemente i tentativi di
miglioramento umano più intelligenti e meglio intenzionati. Questo è particolarmente
vero rispetto alla confusione che circonda praticamente ogni
aspetto del tema della religione. Per rispondere adeguatamente ai bisogni
spirituali del prossimo i bahá’í devono comprendere più a fondo i temi
pertinenti. L’entità dello sforzo di immaginazione che questa sfida richiede
può essere dedotta dal consiglio che è forse l’ammonimento più freque ntemente
e urgentemente ripetuto negli scritti della loro Fede: «meditate»,
«ponderate», «riflettete».
Nei discorsi popolari è luogo comune affermare che per «religione» si
debba semplicemente intendere la moltitudine di sette oggi esistenti. Questa
affermazione suscita comprensibilmente in altri ambienti la risentita
obiezione che per religione s’intende l’uno o l’altro dei grandi sistemi di
credenze indipendenti della storia che hanno plasmato e ispirato intere civiltà.
Ma questa opinione, a sua volta, si scontra con l’inevitabile quesito
sull’ubicazione di queste fedi storiche nel mondo contemporaneo. Dove si
trovano precisamente l’«Ebraismo», il «Buddhismo», il «Cristianesimo»,
l’«Islam», eccetera, essendo ovviamente impossibile identificarli con le
organizzazioni inconciliabilmente opposte che affermano di parlare autorevolmente
in loro nome? E il problema non finisce qui. Un’altra risposta
alla domanda sarà quasi certamente che per religione s’intende un atteggiamento
della vita, il sentimento di un rapporto con una Realtà trascendente
l’esistenza materiale. Così concepita, la religione è un attributo della
persona umana, un impulso che non è passibile di organizzazione,
UNA FEDE COMUNE
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un’esperienza universalmente accessibile. Ma questo orientamento sarà, a
sua volta, considerato dalla maggioranza delle persone di fede privo
dell’autorità dell’autodisciplina e dell’effetto unificatore che dà un senso
alla religione. Altri obietteranno invece che religione significa lo stile di
vita di persone che, come loro, hanno adottato severi regimi di quotidiana
ritualità e diuturna abnegazione che li distinguono nettamente dal resto
della società. Tutte queste disparate concezioni hanno in comune la misura
align="left">in cui un fenomeno che tutti riconoscono trascendere ogni possibilità umana
è stato a poco a poco imprigionato entro limiti concettuali, organizzativi,
teologici, esperienziali o rituali, d’invenzione umana.
Gli insegnamenti di Bahá’u’lláh dirimono questo groviglio di opinioni
contraddittorie e, così facendo, riformulano molte verità che, esplicitamente
o implicitamente, si trovano nel cuore di ogni rivelazione divina. Anche
se questa non è una lettura completa del Suo intento, Bahá’u’lláh chiarisce
che ogni tentativo di cogliere o prospettare la realtà di Dio in un catechismo
e in un credo è un esercizio di autoinganno: «A ogni cuore sottile e
illuminato è evidente che Dio, Essenza inconoscibile, Essere divino, è immensamente
eccelso al di là d’ogni attributo umano, come esistenza corporea,
ascesa e discesa, egresso e regresso. Lungi dalla Sua gloria qualsiasi
cosa lingua umana possa adeguatamente cantare in Sua lode, o cuore umano
comprendere del Suo insondabile mistero».9 Lo strumento attraverso il
quale il Creatore di tutte le cose interagisce con l’evolvente creato che Egli
ha portato all’esistenza è l’apparizione di Figure profetiche che manifestano
gli attributi di una Divinità inaccessibile: «E poiché la porta della sapienza
dell’Antico dei Giorni è chiusa a tutti gli esseri, la Sorgente della
grazia infinita… ha fatto sì che dal regno dello spirito apparissero, nella
nobile forma del tempio umano, le luminose Gemme della Santità e, manifestate
a tutti gli uomini, impartissero al mondo i misteri dell’Essere immutabile
e narrassero gli arcani della Sua Essenza imperitura». size="1">10
Pensare di poter giudicare i Messaggeri di Dio, esaltandone uno sugli
altri, significherebbe cedere all’errore che l’Eterno, Colui Che tutto abbraccia,
è soggetto alle bizzarrie delle preferenze umane. «È chiaro ed eviUNA
FEDE COMUNE
19
face="TimesExtRoman">dente», sono le esatte parole di Bahá’u’lláh, «che tutti i Profeti sono Templi
della Causa di Dio apparsi in differenti vesti. Se osserverai con occhio
scrutatore, li vedrai dimorare tutti nello stesso tabernacolo, librarsi nello
stesso cielo, assisi sullo stesso trono, pronunziare le stesse parole e proclamare
la stessa Fede».11 Altrettanto presuntuoso sarebbe immaginare che
la natura di queste Figure incomparabili possa, o debba, essere definita da
teorie mutuate dall’esperienza fisica. Per «conoscenza di Dio», spiega Bahá’u’lláh,
si deve intendere la conoscenza delle Manifestazioni Che rivelano
il Suo volere e i Suoi attributi ed è qui che l’anima si associa intimamente
con un Creatore Che altrimenti trascende il linguaggio e la comprensione:
«Attesto», afferma Bahá’u’lláh sullo stadio delle Manifestazioni
di Dio, «… che, per la Tua beltà, la beltà dell’Adorato è stata svelata,
che, per mezzo del Tuo vo lto, il volto del Desiato ha brillato...».12
align="left">Così concepita, la religione risveglia l’anima a potenzialità altrimenti
inimmaginabili. Nella misura in cui una persona impara a beneficiare
dell’influenza della rivelazione di Dio per questa era, la sua natura
s’imbeve gradualmente degli attributi del mondo divino: «Grazie agli Insegnamenti
di questo Astro di Verità», spiega Bahá’u’lláh, «tutti gli uomini
progrediscono e si sviluppano fino conseguire lo stadio in cui possono
mostrare le forze potenziali delle quali il loro intimo vero essere è stato
dotato».13 Poiché lo scopo dell’umanità prevede anche che essa porti ava nti
«una civiltà in continuo progresso»,14 fra gli straordinari poteri di cui la
religione è investita vi è anche la capacità di affrancare dai limiti del tempo
coloro che credono, ispirandoli a compiere sacrifici a nome delle generazioni
dei secoli futuri. Anzi, essendo l’anima immortale, il risveglio alla
propria vera natura le conferisce il potere di mettersi al servizio del processo
align="left">evolutivo non solo in questo mondo ma ancor più direttamente nei
mondi dell’al di là: «La luce che tali anime irradiano », afferma Bahá’u’lláh,
«dà vita al progresso del mondo e all’elevazione dei suoi popoli…
Tutte le cose devono avere una causa, una forza motrice, un principio
align="left">animatore. Queste anime, che sono il simbolo della rinunzia, hanno fornito
UNA FEDE COMUNE
20
e continuano a fornire il supremo impulso motore nel mondo
dell’esistenza».15
Pertanto, credere è un impulso necessario e inestinguibile della specie
che un influente pensatore moderno ha definito «l’evoluzione divenuta cosciente
di se stessa».16 Se, come gli eventi del XX secolo tristemente e convincentemente
dimostrano, la naturale espressione della fede viene artificialmente
align="left">bloccata, essa s’inventa oggetti da adorare, sia pure indegni o
addirittura degradati, che in qualche modo appaghino il desiderio di certezza.
È un impulso che non si fa negare.
In breve, durante il continuo processo della rivelazione, Colui Che è la
Sorgente del sistema di sapere che chiamiamo religione dimostra che il sistema
è integro e libero dalle contraddizioni imposte dalle ambizioni settarie.
L’opera di ciascuna delle Manifestazioni di Dio ha un’autonomia e
un’autorità che trascendono qualsiasi valutazione, ma è anche uno stadio
dell’illimitata fioritura di un’unica Realtà. Dato che lo scopo del susseguirsi
delle rivelazioni di Dio è il risveglio dell’umanità alle proprie capacità
e responsabilità di fiduciaria del creato, il processo non è semplicemente
ripetitivo, ma progressivo e lo si può comprendere pienamente solo
se lo si percepisce in questo contesto.
I bahá’í non possono assolutamente dire di aver compreso in un momento
così precoce altro che una minima parte delle verità racchiuse nella
rivelazione sulla quale la loro Fede si basa. Per esempio, parlando
dell’evoluzione della Causa il Custode ha detto: «Tutto quello che possiamo
align="left">ragionevolmente osare è tentare di cogliere un barlume dei primi raggi
dell’Alba promessa che, nella pienezza dei tempi, fugherà le tenebre che
hanno avviluppato l’umanità».17 Oltre a incoraggiare l’umiltà, questo fatto
deve anche continuamente ricordare che Bahá’u’lláh non ha fondato una
nuova religione da schierare accanto alle molte organizzazioni settarie oggi
esistenti. Egli ha rimodellato l’intera concezione della religione in qua nto
prima forza motrice dello sviluppo della coscienza. Poiché la razza umana
con tutte le sue diversità è un’unica specie, anche l’intervento mediante
il quale Iddio coltiva le qualità della mente e del cuore in essa latenUNA
FEDE COMUNE
21
ti è un processo unitario. I suoi eroi e i suoi santi sono gli eroi e i santi di
tutti gli stadi della lotta, i suoi successi, i successi di tutti gli stadi. Questo
è il principio dimostrato dalla vita e dall’opera del Maestro e attualmente
esemplificato da una comunità bahá’í divenuta erede dell’intero lascito
spirituale dell’umanità, un lascito parimenti accessibile a tutti i popoli della
terra.
La ricorrente prova dell’esistenza di Dio è, pertanto, il Suo ripetuto manifestarSi
sin da tempi immemorabili. In senso più ampio, come spiega Bahá’u’lláh,
la vasta epopea della storia religiosa dell’umanità rappresenta la
align="left">realizzazione del «Patto», la perpetua promessa per cui il Creatore di tutte le
cose assicura alla razza che non le farà mai mancare la guida essenziale per
il suo sviluppo spirituale e morale e le chiede di interiorizzarne ed esprimerne
i valori. Chi voglia farlo è libero di contestare con interpretazioni storicistiche
la testimonianza del ruolo incomparabile di questo o di quel Messaggero
di Dio, ma questo tipo di speculazione non spiegherà mai gli sviluppi
che hanno trasfo rmato il pensiero e prodotto nei rapporti umani cambiame nti
fondamentali ai fini dell’evoluzione sociale. A intervalli così lunghi che
gli esempi conosciuti si possono contare sulle dita, le Manifestazioni di Dio
sono apparse, sono state esplicite circa l’autorità dei Propri insegnamenti e
hanno esercitato sul progresso della civiltà un’influenza infinitamente superiore
a quella esercitata da qualsiasi altro fenomeno della storia. «Considerate
l’ora in cui la suprema Manifestazione di Dio Si rivela agli uomini», osserva
Bahá’u’lláh. «Prima che scocchi quest’ora l’Antico Essere, Che è ancora
sconosciuto agli uomini e non ha ancora proferito il Verbo di Dio, è in
Sé l’Onnisciente, in un mondo privo di qualsiasi uomo che L’abbia conosciuto.
Egli è, invero, il Creatore senza creazione».18
õ
L’obiezione più comunemente sollevata contro la suddetta concezione della
religione è che le fedi rivelate sono così radicalmente diverse le une dalle
altre che presentarle come stadi o aspetti di un sistema unificato di verità
significa violentare i fatti. Vista la confusione che regna sulla natura
UNA FEDE COMUNE
22
della religione, questa reazione è comprensibile. Ma per i bahá’í questa obiezione
è soprattutto un invito a inquadrare più esplicitamente i principi
in esame nel contesto evolutivo esposto negli scritti di Bahá’u’lláh.
Le differenze cui si accennava rientrano nelle categorie degli usi e delle
dottrine, ambedue presentati come il fine delle relative scritture. Nel caso
dei costumi religiosi che regolano la vita personale, può essere utile esaminare
la questione nel contesto di alcuni aspetti equiparabili della vita
materiale. È assai improbabile che pur cospicue diversità di igiene, abbigliamento,
medicina, alimentazione, mezzi di trasporto, modalità belliche,
attività edilizie o economiche siano oggi addotte a sostegno della teoria
secondo la quale l’umanità non costituisce in pratica un solo, unico popolo.
Queste argomentazioni semplicistiche sono state abituali fino agli inizi
del XX secolo, ma le ricerche storiche e antropologiche ci presentano ora
un ininterrotto panorama del processo dell’evoluzione culturale che ha visto
queste e infinite altre espressioni della creatività umana nascere, trasmettersi
di generazione in generazione, subire graduali metamorfosi e
spesso giungere ad arricchire la vita di popoli di terre molto lontane. Pertanto,
il fatto che le società odierne presentino un’ampia varietà di tali fenomeni
non definisce assolutamente un’identità fissa e immutabile di una
data popolazione, ma semplicemente distingue lo stadio che un dato gruppo
sta, o stava recentemente, attraversando. E anche in questo caso, le espressioni
culturali si trovano oggi in uno stato di fluidità in seguito alle
pressioni dell’integrazione planetaria.
Un analogo processo evolutivo, spiega Bahá’u’lláh, ha caratterizzato la
vita religiosa dell’umanità. La differenza determinante consiste nel fatto
che le norme religiose non sono semplici accidenti del metodo per tentativi
costantemente utilizzato dalla storia, ma sono state esplicitamente prescritte
volta per volta, come parte integrante di una delle molte rivelazioni del
Divino, incorporate in una scrittura e scrupolosamente preservate nella loro
integrità per secoli e secoli. Mentre alcuni elementi di questo codice di
comportamento alla fine raggiungono l’intento e con l’andar del tempo sono
messi in ombra da interessi di altra natura suscitati dal processo
UNA FEDE COMUNE
23
dell’evoluzione sociale, il codice in sé non perde nulla della propria autorità
nel corso della lunga fase del progresso umano durante la quale esso
svolge un ruolo così importante nella formazione dei comportamenti e degli
atteggiamenti. «Questi principi, queste leggi, questi potenti sistemi così
solidamente insediati», afferma Bahá’u’lláh, «sono scaturiti da un’unica
Sorgente e sono raggi di una sola Luce: la differenza che si riscontra fra
loro deve attribuirsi alle diverse esigenze delle età in cui furono promulgati
».19
Pertanto, sostenere che la diversità delle regole, delle osservanze e di
altri costumi è un’obiezione significativa contro l’idea dell’essenziale unità
della religione rivelata significa non capire lo scopo al quale quelle prescrizioni
erano finalizzate. Peggio ancora, significa non cogliere la differenza
fondamentale fra gli elementi eterni e quelli transitori della funzione
della religione. Il messaggio essenziale della religione è immutabile. Essa
è, nelle parole di Bahá’u’lláh, «l’immutabile Fede di Dio, eterna nel passato,
eterna nell’avvenire».20 Il suo compito di aprire all’anima una strada
per conseguire un più maturo rapporto con il suo Creatore, nonché di conferirle
una sempre maggiore autonomia morale nella disciplina degli impulsi
della natura umana, non è affatto inconciliabile con quello di fornirle
una guida sussidiaria che promuova il processo di edificazione della civiltà.
Il concetto della rivelazione progressiva pone l’accento fondamentale
sul riconoscimento della rivelazione di Dio nel momento in cui appare.
L’inadempienza della maggioranza degli esseri umani sotto questo aspetto
ha più volte condannato intere popolazioni alla ripetizione ritualistica di
ordinanze e costumi molto tempo dopo che essi avevano raggiunto
l’intento e quando ormai vanificavano il progresso morale. Un’ulteriore
malaugurata conseguenza di questa inadempienza è stata, nei nostri giorni,
lo svilimento della religione. Proprio nella fase del suo sviluppo collettivo
nella quale l’umanità ha incominciato a lottare contro le sfide della modernità,
la risorsa spirituale dalla quale aveva principalmente attinto coraggio
e luce morale ha rapidamente incominciato a diventare oggetto di sarcaUNA
FEDE COMUNE
24
smo, dapprima negli ambienti nei quali si prendevano le decisioni sulla direzione
che la società doveva seguire e poi in cerchie sempre più ampie
della popolazione. Non c’è da sorprendersi dunque che questo oltremodo
devastante fra i molti tradimenti delle aspettative subiti dalla fiducia umana
abbia, nel corso del tempo, scalzato le fondamenta della fede. Per questo
Bahá’u’lláh raccomanda più volte ai Suoi lettori di riflettere bene sulla
lezione che si può trarre da quelle ripetute inadempienze: «Ponderate un
momento e riflettete su ciò che è stato causa di tale negazione...».21 «Quale
può essere stata la ragione della loro negazione e del loro allontanamento...?
».22 «Che cosa può aver causato tale contesa...?».23 «Riflettete, quale
può essere stato il motivo...?».24
align="left">Ancor più deleteria alla comprensione della religione è stata la presunzione
dei teologi. Un costante aspetto del passato settario della religione è
stato il ruolo dominante svolto dal clero. In mancanza di testi scritturali
che stabilissero un’indiscutibile autorità istituzionale, le elite clericali sono
riuscite ad arrogarsi il controllo esclusivo dell’interpretazione dell’intento
divino. Sia pur e per motivi diversi, ciò ha sortito il tragico effetto di impedire
il flusso dell’ispirazione, di scoraggiare l’attività intellettuale indipendente,
di orientare l’attenzione verso i dettagli dei rituali e molto spesso di
generare odio e pregiudizio contro coloro che seguivano una strada settaria
diversa da quella delle sedicenti guide spirituali. Anche se nulla ha potuto
impedire che il potere creativo dell’intervento divino proseguisse la sua
opera di graduale innalzamento delle coscienze, la misura di ciò che poté
essere conseguito, nelle varie ere, fu semp re più ridotta da quegli ostacoli
artificialmente costruiti.
Con l’andar del tempo, la teologia è riuscita a costruire nel cuore di
ciascuna delle grandi fedi un’autorità parallela agli insegnamenti rivelati
sui quali ciascuna tradizione era fondata, spesso nemica ad essi nello spirito.
La nota parabola raccontata da Gesù del padrone di casa che sparge la
semenza nel suo campo tratta questo problema e le sue moderne implicazioni:
«Ma, mentre gli uomini dormivano, venne il suo nemico, e seminò
delle zizzanie per mezzo il grano, e se ne andò».25 Quando i servitori gli
UNA FEDE COMUNE
25
propongono di estirparle, il padrone risponde: «No; che talora, cogliendo
le zizzanie, non diradichiate insieme con esse il grano. Lasciate crescere
amendue insieme, infino alla mietitura; e nel tempo della mietitura, io dirò
a’ mietitori: Cogliete prima le zizzanie, e legatele in fasci, per bruciarle;
ma accogliete il grano nel mio gr anaio».26 In tutte le sue pagine, il Corano
riserva la sua più dura condanna ai danni spirituali prodotti da questa concorrente
egemonia: «Dì: “In verità il mio Signore ha proibito le turpitudini,
e quelle visibili e quelle intime e invisibili, e il peccato e il desiderio ingiusto,
e di associare a Dio esseri che Dio non v’ha autorizzato ad associar-
Gli, e di dire contro Dio cose che non sapete”».27 Per una mente moderna è
una grande ironia che generazioni di teologi, i cui apporti imposti alla religione
costituiscono l’esatto tradimento così duramente condannato in questi
testi, cerchino di utilizzare l’arma di questo ammonimento per soffocare
align="left">la protesta contro la loro usurpazione dell’autorità divina.
Infatti, ciascuno dei nuovi stadi della rivelazione della verità spirituale
che andava progressivamente sbocciando si è congelato nel tempo e in una
congerie di immagini e interpretazioni letterali, molte delle quali erano state
mutuate da culture anch’esse moralmente esaurite. Qualunque valore
abbiano avuto nei precedenti stadi dell’evoluzione della coscienza, i concetti
della resurrezione della carne, di un paradiso di delizie corporali, della
reincarnazione, di prodigi panteistici, eccetera, innalzano oggi muri di
separazione e di conflitto in un’era in cui la terra è letteralmente diventata
un’unica patria e gli esseri umani devono imparare a considerarsene i cittadini.
In questo contesto si possono capire le ragioni della veemenza del
monito di Bahá’u’lláh sugli ostacoli eretti dalla teologia dogmatica sulla
via di coloro che cercano di comprendere il volere di Dio: «O capi della
religione! Non giudicate il Libro di Dio con le misure e le scienze in uso
fra voi, poiché il Libro stesso è l’infallibile Bilancia istituita fra gli uomini
».28 Nella Sua Tavola al Papa Pio IX, Egli avverte il Pontefice che in
face="TimesExtRoman">questo giorno Dio ha «ha riposto nei recipienti della giustizia» ciò che nella
religione vi è di duraturo e «gettato nel fuoco ciò che al fuoco si addice
».29
UNA FEDE COMUNE
26
õ
Liberata delle alte siepi con cui la teologia ha delimitato la comprensione
della religione, la mente è in grado di esplorare noti passi scritturali con gli
occhi di Bahá’u’lláh. «Questo Giorno è impareggiabile», Egli afferma,
«perché è come l’occhio di ere e secoli passati e come luce per le tenebre
dei tempi».30 face="TimesExtRoman">L’osservazione più sorprendente che emerge quando si adotti
questa prospettiva è l’unità di intenti e di principio che percorre le scritture
ebraiche, il Vangelo e il Corano, in modo particolare, benché se ne possono
scoprire echi anche nelle scritture di altre religioni del mondo. I medesimi
temi direttivi emergono ripetutamente dalla matrice di precetti, esortazioni,
simboli, racconti e interpretazioni in cui sono incastonati. Di queste
verità fondamentali, la più caratteristica di tutte è la progressiva articolazione
e solenne affermazione dell’unità di Dio, il Creatore di tutta
l’esistenza del mondo fenomenico e dei regni che lo trascendono. «Io sono
il Signore»,31 dichiara la Bibbia «e non ve n’è alcun altro; non vi è Dio alcuno
fuor che me» e lo stesso concetto corrobora i successivi insegnamenti
di Cristo e di Mu?ammad.
L’umanità, punto focale, erede e fiduciaria del mondo, esiste per conoscere
il suo Creatore e per servire il Suo scopo. Nella sua massima espressione,
l’innato impulso umano di rispondere assume la forma
dell’adorazione, una condizione che comporta una totale sottomissione a
una forza riconosciuta meritevole di tale omaggio. «Or al Re de’ secoli,
align="left">immortale, invisibile, a Dio solo savio, sia onore, e gloria ne’ secoli de’
secoli».32 Inseparabile dallo spirito della riverenza è la sua espressione al
servizio dello scopo divino per l’umanità. «Dì: “Nella mano di Dio v’è
grazia sovrabbondante ed Egli la dà a chi vuole: ché Iddio è ampio sapiente”
».33 Alla luce di questo modo di intendere, le responsabilità dell’uomo
face="TimesExtRoman">sono chiare: «La pietà non consiste nel volgere la faccia verso l’oriente o
verso l’occidente», attesta il Corano, «bensì la vera pietà è que lla di chi
crede in Dio… e dà dei suoi averi, per amore di Dio, ai parenti e agli orfani
e ai poveri e ai viandanti e ai mendicanti e a chi chiede...».34 «Voi siete
il sale della terra»,35 Cristo dice a coloro che rispondono al Suo appello.
UNA FEDE COMUNE
27
«Voi siete la luce del mondo».36 Sintetizzando un tema ricorrente nelle
scritture ebraiche che ricomparirà successivamente nel Vangelo e nel Corano,
il profeta Michea chiede: «...e che richiede il Signore da te, se non
che tu faccia ciò che è diritto, e ami benignità, e cammini in umiltà col tuo
Dio?».37
Questi testi concordano anche sul fatto che la capacità dell’anima di arrivare
a capire lo scopo del suo Creatore non dipende solo dai suoi sforzi,
ma anche dagli interventi del Divino che le aprono la strada. Lo spiega con
memorabile chiarezza Gesù: «Io son la via, la verità, e la vita; niuno viene
al Padre se non per me».38 Se non la si vede come una sfida dogmatica agli
altri stadi dell’unico, continuo processo della guida divina, questa affermazione
è la chiara espressione della verità fondamentale della religione
rivelata: che è possibile accedere all’inconoscibile Realtà che crea e regge
l’esistenza solo se ci si risveglia all’illuminazione effusa da quel Regno.
Una delle più amate sure del Corano riprende la metafora: «Dio è la Luce
dei cieli e della terra… è Luce su Luce; e Iddio guida alla Sua luce chi Egli
vuole».39 Nel caso dei profeti ebrei, l’intermediario divino che sarebbe
successivamente apparso con il Cristianesimo nella persona del Figlio
dell’uomo e con l’Islam nel Libro di Dio assunse la forma di un vincolante
Patto che il Creatore fece con Abramo, patriarca e profeta: «Ed io fermerò
il mio patto fra me e te, ed i tuoi discendenti dopo te, per le lor generazioni,
per patto perpetuo; per esser l’Iddio tuo, e della tua progenie dopo
te».40
Il succedersi delle rivelazioni del Divino appare come elemento esplicito,
e talvolta implicito, di tutte le grandi fedi. Una delle sue più antiche e
chiare espressioni si trova nel Bhagavad- Gita: «Io vengo, e vado, e vengo.
Quando la Giustizia declina, o Bharata, quando la Malvagità è forte, Io
sorgo, di era in era, e assumo forma visibile, e muovo un uomo fra gli uomini,
soccorrendo i buoni, ricacciando i malvagi, e reinsediando la Virtù
sul suo seggio».”41 Il dipanarsi di questa vicenda costituisce la struttura
fondamentale della Bibbia, la cui sequenza di libri narra la missione non
solo di Abramo e di Mosé – «il quale il Signore ha conosciuto a faccia a
UNA FEDE COMUNE
28
faccia»42 – ma anche della linea di profeti minori che hanno sviluppato e
align="left">consolidato l’opera che i principali Autori di questo processo avevano iniziato.
Analogamente, nessuna controve rsa e fantastica speculazione
sull’esatta natura di Gesù è riuscita a separare la Sua missione
dall’influenza trasformatrice esercitata sul corso della civiltà dall’opera di
Abramo e di Mosè. Egli Stesso afferma che non sarà Lui a condannare chi
respinge il Suo messaggio, ma Mosè «nel qual voi avete riposta la vostra
speranza. Perciocché, se voi credeste a Mosè, credereste ancora a me; poiché
egli ha scritto di me. Ma se non credete agli scritti d’esso, come crederete
alle mie parole?».43 Con la rivelazione del Corano, il tema della sequenza
dei Messaggeri di Dio diventa centrale: «Noi crediamo in Dio, in
ciò ch’è stato rivelato a noi, e in ciò che fu rivelato ad Abramo, a Ismaele,
a Isacco, a Giacobbe... e in ciò che fu dato a Mosé e a Gesù, e ai profeti
dal Signore...».44
Per un lettore ben disposto e obiettivo di questi passi ciò che ne emerge
è il riconoscimento dell’essenziale unità della religione. Così accade che il
termine «Islam» (alla lettera, «sottomissione» a Dio) non indichi soltanto
la particolare dispensazione della Provvidenza inaugurata da Mu?ammad
ma, come le parole del Corano chiariscono incontrovertibilmente, la religione
in sé. Se è giusto parlare di unità di tutte le religioni, è essenziale
comprenderne il contesto. Al livello più profondo, come fa notare Baha’u’lláh,
esiste una sola religione. La religione è la religione, come la
scienza è la scienza. Quella discerne e articola i valori che vanno progressivamente
sbocciando grazie alla rivelazione divina, questa è lo strumento
mediante il quale la mente umana esplora e può sempre meglio influenzare
il mondo fenomenico. L’una definisce traguardi finalizzati al processo evolutivo,
l’altra ne favorisce il conseguimento. Assieme, esse sono il duplice
sistema di sapere che muove il progresso della civiltà. Entrambe sono
acclamate dal Maestro come «un fulgore del Sole della Verità».45
Pertanto, chi dice che l’opera di Mosè, Buddha, Zoroastro, Gesù, Mu?-
ammad, oppure della sequenza di Avatar che hanno ispirato le scritture indù,
consiste nell’aver fondato religioni distinte non ha capito bene il loro
UNA FEDE COMUNE
29
incomparabile stadio. L’ha capito invece chi riconosce in Loro gli Educatori
spirituali della storia, le forze animatrici della nascita delle civiltà grazie
alle quali la coscienza è fiorita. «Era nel mondo», dichiara il Vangelo,
«e il mondo è stato fatto per mezzo d’esso...».46 Che le loro persone siano
state oggetto di una riverenza infinitamente più grande di quella tributata a
qualsiasi altra figura della storia rispecchia il tentativo di articolare i sentimenti
peraltro inesprimibili suscitati nel cuore di milioni e milioni di persone
dalle grazie conferite dalla loro opera. Nell’amarli l’umanità ha progressivamente
align="left">imparato che cosa significa amare Dio. Del resto, non c’è
altro modo di farlo. Non li onorano di certo i maldestri tentativi di imprigionare
il mistero essenziale della loro natura in dogmi inventati
dall’immaginazione umana. Ciò che li onora è l’incondizionata resa
dell’anima all’influenza trasformatrice di cui sono mediatori.
La confusione sul ruolo della religione nell’affinamento della coscienza
morale è evidente anche nella comprensione popolare del suo contributo
alla formazione della società. L’esempio più banale è probabilmente lo stato
sociale inferiore che molti testi sacri assegnano alle donne. Se è vero
che i conseguenti benefici che gli uomini ne hanno tratto sono stati un fattore
consolidante di questa concezione, la giustificazione morale è stata
indiscutibilmente fornita da ciò che la gente aveva capito dell’intento delle
scritture. Tranne qualche eccezione, questi testi si rivolgono agli uomini e
assegnano alle donne un ruolo subordinato, di sostegno, nella vita della religione
e della società. Purtroppo, questo modo d’intendere ha deprecabilmente
facilitato l’attribuzione alle donne della colpa primaria per inottemperanze
ne l controllo dell’impulso sessuale, un aspetto importantissimo del
progresso morale. In un sistema di riferimento moderno, gli atteggiamenti
di questo tipo sono subito giudicati prevenuti e ingiusti. Negli stadi di sviluppo
sociale nei quali tutte le grandi fedi sono nate, la guida scritturale
cercava in primo luogo di civilizzare, per quanto possib ile, rapporti legati
a circostanze storiche ostiche. Ci vuol poco a capire che aggrappandosi
oggi a norme primitive si vanifica lo scopo del paziente affinamento del
senso morale operato dalla religione.
size="5">UNA FEDE COMUNE
30
Di analoghe considerazioni sono state oggetto le relazioni fra le società.
La lunga e difficile preparazione del popolo ebraico alla sua missione è
un esempio della complessità e dell’ostinazione delle sfide morali che essa
ha comportato. Perché le capacità spirituali cui facevano appello i profeti
potessero ridestarsi e fiorire, era necessario resistere, a qualsiasi costo, alle
allettanti offerte delle attigue culture idolatre. I racconti scritturali delle
adeguate punizioni subite da governanti e governati che avevano violato
quel principio illustrava l’importanza ad esso attribuita dal divino intento.
Una situazione in qualche modo paragonabile si presentò nella lotta che la
neonata comunità fondata da Mu?ammad dovette sostenere per sopravvivere
ai tentativi di distruggerla compiuti dalle tribù arabe pagane e nella
barbara crudeltà e nell’implacabile spirito di vendetta che animava gli aggressori.
Chi ne conosca i dettagli storici non farà fatica a capire la durezza
delle ingiunzioni coraniche sul tema. Se alle fedi monoteiste degli ebrei e
dei cristiani si doveva tributare rispetto, con l’idolatria non si ammettevano
compromessi. In tempi relativamente brevi questa drastica regola riuscì
a unificare le tribù della Penisola araba e a lanciare la nuova comunità verso
oltre cinque secoli di conquiste morali, intellettuali, culturali ed economiche,
align="left">un’impresa che era e resta ineguagliata per rapidità e latitudine di
espansione. La storia tende ad essere un giudice severo. Alla fin fine, ne lla
sua inflessibile prospettiva, sarà sempre possibile evidenziare a chi avrebbe
ciecamente soffocato sul nascere queste imprese le conseguenze che ne
sarebbero derivate confrontandole con i benefici che il mondo intero ha
tratto dal trionfo della visione delle possibilità umane trasmessa dalla Bibbia
e dai progressi resi possibili dal genio della civiltà islamica.
Uno dei temi più dibattuti fra coloro che vogliono comprendere
l’evoluzione della società verso la maturità spirituale è quello dei delitti e
delle pene. Pur diverse ne lle modalità e nell’entità, le pene prescritte dalla
maggior parte dei testi sacri per atti di violenza contro il bene comune o
contro i diritti altrui sono quasi sempre state piuttosto dure. Per di più,
hanno spesso previsto che alle parti lese o ai membri delle loro famiglie
fosse permessa la ritorsione contro gli offensori. Ma, in una prospettiva
UNA FEDE COMUNE
31
storica, si ha motivo di chiedersi quali alternative pratiche ci fossero.
Mancando non solo gli attuali programmi di modifica dei comportamenti,
ma anche la possibilità di ricorrere a opzioni coercitive come le prigioni o
corpi di polizia, la religione si preoccupava di imprimere indelebilmente
nelle coscienze l’inaccettabilità morale, e i costi pratici, di comportamenti
che altrimenti avrebbero scoraggiato gli sforzi volti al progresso sociale.
L’intera civiltà ne ha tratto beneficio e sarebbe poco onesto non riconoscerlo.
Così è stato nel corso di tutte le dispensazioni religiose le cui origini
sono sopravvissute nei documenti scritti. La mendicità, la schiavitù,
l’autocrazia, la conquista, i pregiudizi etnici e altre sgradevoli caratteristiche
dell’interazione sociale o sono rimaste incontestate o sono state esplicitamente
assecondate, mentre la religione cercava di attuare riforme del
align="left">comportamento reputate più immediatamente essenziali, nei vari stadi del
progresso della civiltà. Condannare la religione perché una delle dispensazioni
che si sono succedute non ha affrontato l’intera gamma dei mali della
società significherebbe ignorare tutto ciò che si è appreso sulla natura dello
align="left">sviluppo umano. Un pensiero così anacronistico crea inevitabilmente un
handicap psicologico nel valutare e affrontare le esigenze dei propri tempi.
Il problema non è il passato, ma le sue ripercussioni sul presente. Le
difficoltà sorgono quando i seguaci di una delle fedi del mondo si dimostrano
align="left">incapaci di distinguerne gli elementi eterni da quelli transitori e tentano
di imporre alla società regole comportamentali che hanno ormai ottenuto
il proprio intento. Questo principio è fondamentale per comprendere il
ruolo sociale della religione. «Il rimedio necessario al mondo nelle sue attuali
align="left">afflizioni non potrà mai essere lo stesso che un’epoca futura potrà richiedere
», fa notare Bahá’u’lláh. «Interessatevi premurosamente delle necessità
dell’epoca in cui vivete e accentrate le vostre deliberazioni sulle sue
esigenze e necessità».47
õ
UNA FEDE COMUNE
32
Le esigenze della nuova era dell’esperienza umana che Bahá’u’lláh ha invitato
i capi religiosi e politici del mondo del XIX secolo a prendere in esame
sono in gran parte state riconosciute, per lo meno come ideali, dai loro
align="left">successori e dalle menti favorevoli al progresso in tutto il mondo. Entro
la fine del XX secolo, alcuni principi, che solo qualche decennio prima erano
stati sbrigativamente definiti visionari e irrimediabilmente irrealistici,
erano divenuti un elemento centrale del discorso globale. Suffragati dalle
scoperte della ricerca scientifica e dalle conclusioni di influenti commissioni,
spesso la utamente finanziate, essi ora dirigono l’opera di potenti agenzie
internazionali, nazionali e locali. Un nutrito corpo multilingue di
letteratura dotta esamina i metodi pratici da adottare per la loro applicazione
e i suoi programmi possono contare sull’attenzione dei media nei
cinque continenti.
La maggior parte di questi principi sono, purtroppo, diffusamente dileggiati
non solo fra noti nemici della pace sociale, ma anche in ambienti
che si dicono devoti ad essa. Ciò che manca non è una convincente testimonianza
della loro pertinenza, ma il potere di un convincimento morale
che li possa realizzare, un potere la cui unica fonte dimostratasi attendibile
nel corso della storia è la fede religiosa. Agli inizi della missione di Bahá’u’lláh,
l’autorità religiosa esercitava ancora una notevole influenza sociale.
Quando il mondo cristiano si risolse a rompere con millenni di indiscusso
convincimento e finalmente affrontò il morbo della schiavitù, i
primi riformatori britannici cercarono di fare appello agli ideali della Bibbia.
Successivamente, nel discorso programmatico da lui pronunciato sul
ruolo centrale del problema nel grande conflitto americano, il Presidente
degli Stati Uniti affermò che se «ogni goccia di sangue versato dalla frusta
sarà ripagato con un altro versato dalla spada, ancora si dovrà dire, come
fu detto tremila anni or sono : “i giudizi del Signore son verità, tutti quanti
son giusti [Salmi XIX, 9]”».48 Ma quell’era stava rapidamente concludendosi.
Nei sovvertimenti che seguirono la seconda Guerra mondiale, neppure
align="left">un personaggio così influente come Mohandas Gandhi fu capace di mobilitare
il potere spirituale dell’Induismo a sostegno dei propri tentativi di
UNA FEDE COMUNE
33
spegnere la violenza settaria nel subcontinente indiano. Né le guide della
comunità musulmana ebbero maggior successo sotto questo aspetto. Come
si prefigura nella visione metaforica del Corano del «giorno in cui arrotoleremo
il cielo come rotolo di volume»,49 l’autorità un tempo indiscussa
delle religioni tradizionali aveva smesso di dirigere i rapporti sociali
dell’umanità.
È questo il contesto nel quale si possono incominciare a capire le immagini
scelte da Bahá’u’lláh per descrivere il volere di Dio per la nuova
era: «Non crediate che vi abbiamo rivelato un semplice codice di leggi.
Anzi, con le dita della forza e del potere vi abbiamo dissuggellato il Vino
prelibato».50 Grazie alla Sua rivelazione, i principi necessari al conseguimento
collettivo della maggiore età da parte della razza umana sono stati
investiti dell’unico potere capace di penetrare fino alle radici della motivazione
umana e di modificare i comportamenti. Per chi ha riconosciuto Bahá’u’lláh,
la parità fra uomini e donne non è un postulato sociologico, ma
una verità rivelata sulla natura umana, che si ripercuote su ogni aspetto dei
rapporti umani. Altrettanto dicasi del Suo principio dell’unità delle razze.
L’educazione universale, la libertà di pensiero, la protezione dei diritti
umani, il riconoscimento del fatto che le risorse della terra sono un pegno
affidato all’intera umanità, la responsabilità della società quanto al benessere
della sua cittadinanza, la promozione della ricerca scientifica, perfino
un principio così pratico come la lingua ausiliaria internazionale che favorirà
l’integrazione dei popoli del mondo, tutti questi precetti e altri ancora
sono investiti, per tutti coloro che rispondono alla rivelazione di Bahá’u’lláh,
della stessa soggiogante autorità di cui sono investite le ingiunzioni
scritturali contro l’idolatria, il furto e la falsa testimonianza. Mentre
di alcuni di essi si può intravedere qualche accenno in precedenti scritti sacri,
la loro definizione e prescrizione ha dovuto necessariamente attendere
che le eterogenee popolazioni del pianeta potessero partire tutte assieme,
come un’unica razza umana, alla scoperta della propria natura. Grazie al
potenziamento spirituale portato dalla rivelazione di Bahá’u’lláh le norme
divine possono essere comprese, non già come principi e leggi isolate, ma
UNA FEDE COMUNE
34
come sfaccettature di un’unica visione complessiva del futuro
dell’umanità, rivoluzionaria nel suo scopo ed esaltante per le possibilità
che apre.
Parte integrante di questi insegnamenti sono alcuni principi riguardanti
l’amministrazione degli affari collettivi dell’umanità. Un passo molto citato
della Tavola di Baha’u’lláh alla Regina Vittoria contiene un fervido elogio
del principio del governo democratico e costituzionale, ma anche un
monito sul contesto di responsabilità globale nel quale quel principio deve
operare se vuole realizzare i propri scopi in questa era: «O rappresentanti
eletti dal popolo in ogni terra! Consultatevi e il vostro intento sia soltanto
quello di giovare all'umanità e migliorarne le condizioni, se siete di coloro
che osservano con profitto. Paragonate il mondo al corpo umano che, per
quanto sano e perfetto al momento della creazione, è stato afflitto, per cause
diverse, da gravi disturbi e malanni. Neppure per un solo giorno ha trovato
pace, anzi la sua malattia s’è sempre più aggravata perché è caduto
sotto le cure di medici ignoranti, che dando libero sfogo ai loro desideri
personali hanno commesso madornali errori. E se, una volta, in seguito alle
cure di un abile medico, un membro di quel corpo fu risanato, gli altri
rimasero afflitti dal male come prima».51 In altri passi Bahá’u’lláh ne specifica
alcune ripercussioni pratiche. I governi del mondo sono invitati a
convocare un corpo consultivo internazionale, come base, nelle parole del
Custode, di «un sistema federale mondiale»,52 investito del potere di salvaguardare
l’autonomia e il territorio dei suoi stati membri, di dirimere dispute
nazionali e regionali e di coordinare programmi di sviluppo globale
per il bene dell’intera razza umana. È significativo che Baha’u’lláh attribuisca
a questo sistema, una volta instaurato, il diritto di reprimere con la
forza eventuali atti di aggressione di uno stato contro un altro. Rivolgendosi
ai governanti dei Suoi tempi, Egli asserisce chiaramente la sanzione
morale di una simile azione: «Se uno di voi prendesse le armi contro un
altro, insorgete tutti contro di lui, poiché questa non è altro che palese giustizia
».53
õ
UNA FEDE COMUNE
35
Il potere mediante il quale queste mete saranno a poco a poco conseguite è
quello dell’unità. Pur essendo per i bahá’í la più ovvia delle verità, le sue
ripercussioni sulla presente crisi della civiltà sembra sfuggire alla maggior
parte del dibattito contemporaneo. È difficile negare che il morbo universale
che insidia la salute del corpo dell’umanità è la mancanza di unità.
Dappertutto le manifestazioni di questo morbo paralizzano le volontà politiche,
debilitano il bisogno collettivo di cambiamento e avvelenano i rapporti
fra le nazioni e le religioni. È strano dunque che l’unità sia considerata
un traguardo da conseguire, caso mai, in un lontano futuro, dopo avere
affrontato e in qualche modo risolto uno stuolo di disordini della vita sociale,
politica, economica e morale. Eppure quei disordini sono essenzialmente
sintomi ed effetti collaterali del problema e non la sua causa principale.
Come mai un così fondamentale stravolgimento della realtà è arrivato
ad essere così largamente accettato? La risposta è che probabilmente si
pensa che il conseguimento di un’autentica unità di mente e di cuore da
parte di popoli le cui esperienze sono tanto diverse esuli dalle capacità delle
align="left">istituzioni esistenti. Questa tacita ammissione, pur essendo un gradito
passo avanti rispetto al modo d’intendere i processi dell’evoluzione sociale
in auge qualche decennio or sono, è di limitato aiuto pratico per rispondere
alla sfida.
L’unità è una condizione dello spirito umano. L’educazione, e la legislazione,
possono sostenerla e migliorarla, ma possono farlo solo dopo che
essa si sia affermata come innegabile forza della vita sociale.
L’intellighenzia globale, le cui prescrizioni sono largamente influenzate
dalle erronee concezioni materialistiche della realtà, si aggrappa ostinatamente
alla speranza che fantasiose ingegnerie sociali, appoggiate da compromessi
politici, possano rimandare all’infinito i potenziali disastri che
pochi negano incombere sul futuro dell’umanità. «Sappiamo bene che la
razza umana è assediata da gravi e innumerevoli afflizioni», afferma Bahá’u’lláh.
«Coloro che sono ebbri di vanagloria s’interpongono fra lei e
l’infallibile Medico divino. Guardate come abbiano avviluppato tutti gli
uomini, inclusi se stessi, nelle reti dei loro espedienti. Non sanno scoprire
UNA FEDE COMUNE
36
la causa dell’infermità e non conoscono il rimedio».54 Essendo l’unità il
rimedio delle infermità del mondo, la sua unica fonte sicura si trova nel ripristino
dell’influenza religiosa sulle cose umane. Le leggi e i principi rivelati
da Dio, in questo giorno, dichiara Bahá’u’lláh, «sono i più potenti
strumenti e i mezzi più sicuri per far sorgere la luce dell'unità fra gli uomini
».55 «Qualsiasi cosa sarà edificata su queste fondamenta, i cambiamenti e
gli avvenimenti del mondo non potranno mai intaccarne la resistenza, né
potrà minarne la struttura il corso di innumerevoli secoli».56
Pertanto, la creazione di una comunità globale che rispecchi l’unità del
genere umano occupa una posizione centrale nella missione di Bahá’u’lláh.
La massima testimonianza che la comunità bahá’í possa addurre per comprovare
la Sua missione è l’esempio dell’unità che i Suoi insegnamenti
hanno prodotto. Entrando nel XXI secolo, la Causa bahá’í è un fenomeno
align="left">diverso da qualunque altra cosa il mondo abbia visto. Dopo decenni di
sforzi, durante i quali picchi di crescita si sono avvicendati a lunghi periodi
di consolidamento, spesso oscurati da recessioni, oggi la comunità bahá’í
comprende diversi milioni di persone che rappresentano quasi tutte le provenienze
etniche, culturali, sociali e religiose del mondo, che amministrano
i loro affari collettivi senza l’intervento di un clero, per mezzo di istituzioni
align="left">democraticamente ele tte. Le molte migliaia di località nelle qua li essa ha
messo le radici si trovano in tutti i paesi, i territori e principali arcipelaghi,
dall’Artide alla Terra del Fuoco, dall’Africa al Pacifico. L’affermazione
che questa comunità può già essere il più diversificato e geograficamente
diffuso fra gli altri gruppi di persone analogamente organizzati del pianeta
può difficilmente essere contestata da chi sia a conoscenza dei fatti.
Questo successo richiede un’interpretazione. Nessuna delle spiegazioni
convenzionali – disponibilità di ricchezze, patronati di potenti interessi politici,
invocazioni dell’occulto o aggressivi programmi di proselitismo che
istillino il timore della collera divina – hanno avuto la pur minima parte
align="left">negli eventi in esame. I seguaci della Fede hanno acquisito un senso di identità
in quanto membri di un’unica razza umana, un’identità che impronta
lo scopo della loro vita e che non è, chiaramente, l’espressione di una
UNA FEDE COMUNE
37
loro intrinseca superiorità morale: «O genti di Bahá! Che non vi sia alcuno
a competere con voi è un segno di misericordia».57 L’osservatore equanime
è obbligato a prendere in esame almeno la possibilità che questo fenomeno
sia opera di influenze di natura completamente diversa da quelle conosciute,
influenze che si possono propriamente definire spirituali, capaci
di ispirare straordinarie gesta di sacrificio e comprensione a persone comuni
di ogni provenienza.
Particolarmente sorprendente è il fatto che la Causa bahá’í sia riuscita
a preservare indenne e ininterrotta l’unità così conseguita, durante i primi
stadi, i più vulnerabili, della sua esistenza. Si cercherà invano un’altra associazione
di esseri umani nella storia, politica, religiosa o sociale, che sia
riuscita a sopravvivere alla ricorrente rovina dello scisma e della faziosità.
La comunità bahá’í, con tutta la sua diversità, è un unico corpo di persone,
unito nel modo di intendere la rivelazione di Dio da cui è nata, unita nella
devozione all’Ordine amministrativo che il suo Autore ha creato per governare
i suoi affari collettivi, unita nella dedizione al compito di disseminare
il Suo messaggio in tutto il pianeta. Nei decenni trascorsi dalla sua
nascita, parecchi individui, alcuni dei quali altolocati, tutti spronati dal
pungolo dell’ambizione, hanno fatto l’impossibile per crearsi un seguito
separato, fedele a loro o alle interpretazioni che essi avevano dato degli
scritti di Bahá’u’lláh. Nei primi stadi dell’evoluzione della religione, tentativi
analoghi sono riusciti a dividere in sette contendenti religioni appena
nate. Ma nel caso della Causa bahá’í questo tipo di intrigo è fallito, senza
alcuna eccezione, non riuscendo a produrre altro che transitorie esplosioni
di controversie il cui ultimo risultato è stato quello di approfondire la comunità
nella sua comprensione dello scopo del suo Fondatore e nella sua
dedizione ad esso. «Tanto potente è la Luce dell’unità», Bahá’u’lláh assicura
a coloro che Lo riconoscono, «da illuminare il mondo intero».58 Dato
che la natura umana è quella che è, non è difficile capire la previsione del
Custode che questo processo di purificazione continuerà, paradossalmente,
ma necessariamente, a essere per lungo tempo un aspetto integrante della
maturazione della comunità bahá’í.
UNA FEDE COMUNE
38
õ
Uno dei corollari dell’abbandono della fede in Dio è stata una paralisi della
capacità di affrontare efficacemente il problema del male o, in molti casi,
perfino della capacità di riconoscerlo. Se è vero che i bahá’í non ascrivono
al fenomeno l’esistenza obiettiva che gli si attribuiva durante precedenti
stadi della storia religiosa, la negazione del bene che il male rappresenta,
come nel caso dell’oscurità, dell’ignoranza e dell’infermità, ha effetti
gravemente mutilanti. Poche stagioni editoriali passano senza offrire al
align="left">lettore colto una serie di nuove e fantasiose analisi del carattere di uno dei
mostruosi personaggi che, durante il XX secolo, hanno sistematicamente
torturato, umiliato e sterminato milioni di persone. Si è invitati dalle autorità
della cultura a riflettere sul peso da dare, in varia misura, a maltrattamenti
paterni, ricuse sociali, delusioni professionali, miseria, ingiustizie,
esperienze belliche, possibili danni genetici, letture nichiliste, o varie
combinazioni di tutto questo, per cercare di capire le ossessioni che hanno
alimentato un odio per l’umanità evidentemente abissale. Vistosamente assente
da queste speculazioni contemporanee è quello che molti esperti
commentatori, fino a un secolo fa, avrebbero definito un morbo spirituale,
indipendentemente dagli elementi che l’accompagnano.
Se l’unità è la cartina di tornasole per il progresso umano, né la storia
né il cielo perdoneranno facilmente coloro che decidono deliberatamente
di alzare le mani contro di essa. Fidandosi, le persone abbassano le difese
e si aprono agli altri. In caso contrario, non c’è modo di dedicarsi con tutto
il cuore a una meta condivisa. Nulla è più devastante dell’improvvisa scoperta
che, per l’altra parte, impegni presi in buona fede non sono altro che
un vantaggio conseguito, uno strumento per ottenere obiettivi nascosti, diversi
da ciò che era stato chiaramente intrapreso insieme, o perfino contrari.
Questo genere di tradimento è un filone persistente della storia umana
che ha avuto una delle sue prime espressioni scritte nell’antica storia di
Caino e della sua gelosia per il fratello la cui fede Dio aveva scelto di confermare.
Se il tremendo dolore sofferto dai popoli della terra durante il XX
secolo ha lasciato una lezione, questa lezione è che la sistematica mancanUNA
FEDE COMUNE
39
za di unità, che è stata ereditata da un oscuro passato e che avvelena i rapporti
in ogni ambito della vita, ha spalancato la porta in questa era a comportamenti
demoniaci più bestiali di ciò che la mente si era sognata fosse
possibile.
Se il male ha un nome, questo nome è sicuramente la deliberata violazione
dei sofferti patti di pace e riconciliazione con i quali le persone di
buona volontà cercano di sottrarsi al passato e di costruire assieme un
nuovo futuro. Per definizione, l’unità richiede abnegazione. «L’egoismo»,
afferma il Maestro, «è impastato nell’argilla dell’uomo». size="1">59 L’ego, da Lui
definito, «insistente io»,60 resiste per istinto ai freni imposti a ciò che esso
considera essere la propria libertà. Per rinunciare volontariamente alle
soddisfazioni che la licenza permette, l’individuo deve arrivare a credere
che la realizzazione si trova altrove. Alla fin fine, essa si trova dov’è sempre
stata: nella sottomissione dell’anima a Dio.
L’incapacità di far fronte alla sfida di questa sottomissione si è manifestata
con conseguenze particolarmente devastanti nel corso dei secoli nel
tradimento dei Messaggeri di Dio e degli ideali da Essi insegnati. Non è
questa la sede per riesaminare la natura e le disposizioni del Patto specifico
con il quale Baha’u’lláh è riuscito a preservare l’unità di coloro che Lo
riconoscono e servono il Suo scopo. Basti ricordare la forza del linguaggio
da Lui usato per la sua deliberata violazione da parte di coloro che nel contempo
pretendono di essergli fedeli: «Agli occhi del tuo Signore,
l’Onnipossente, l’Illimitato, coloro che se ne sono allontanati sono annoverati
fra gli abitanti del fuoco più profondo».61 La ragione della durezza della
condanna è ovvia. Pochi faticano a riconoscere i danni al benessere sociale
prodotti da ben noti crimini come l’omicidio, lo stupro o la frode oppure
la necessità che la società prenda misure efficaci per proteggersi. Ma
che cosa devono pensare i bahá’í di una depravazione che, incontrollata,
distruggerebbe quegli stessi strumenti che sono essenziali per la creazione
dell’unità, e che, nelle drastiche parole del Maestro, diverrebbe «come una
scure che colpisce la radice dell’Albero Benedetto»?62 Non si tratta di un
dissenso intellettuale o di una debolezza morale. Molti sono restii ad accetUNA
FEDE COMUNE
40
tare qualsiasi tipo di autorità e alla fine si allontanano dalle situazioni che
richiedano di farlo. Chiunque si sia sentito attratto verso la Fede bahá’í ma
poi decid a, per qualsiasi motivo, di abbandonarla, è liberissimo di farlo.
Il fenomeno della violazione del Patto ha una natura del tutto diversa.
L’impulso che esso genera in coloro che ne subiscono l’influenza non è
semplicemente quello di seguire in libertà la strada che essi credono li
conduca alla realizzazione personale o alla possibilità di offrire un contributo
alla società. No, costoro sono spinti da un’apparentemente incontrollabile
determinazione di imporre alla comunità il loro volere personale con
qualsiasi mezzo di cui dispongano, senza pensare ai danni prodotti e senza
rispettare il solenne impegno che si sono assunti facendosi accettare come
membri di quella comunità. Alla fin fine, l’ego diventa l’autorità preminente
non solo nella loro vita, ma anche nella vita di chiunque essi riescano
a influenzare. Come una lunga e tragica esperienza ha fin troppo bene
dimostrato, doti come un illustre lignaggio, l’intelligenza, l’educazione, la
devozione o la leadership sociale possono essere parimenti utilizzate al
servizio dell’umanità o dell’ambizione personale. In ere passate, quando lo
scopo divino era concentrato su priorità spirituali di diversa natura, le conseguenze
di questa ribellione non hanno invalidato il messaggio centrale
della sequenza delle rivelazioni di Dio. Oggi, con le immense opportunità
e i terrificanti pericoli creati dall’unificazione del mondo, la dedizione ai
requisiti dell’unità diventa il metro per giudicare tutte le professioni di devozione
al volere di Dio o, per l’argomento in questione, al bene
dell’umanità.
õ
Tutto nella sua storia ha qualificato la Causa bahá’í per far fronte alla sfida
cui essa è esposta. Anche in questa fase relativamente precoce del suo sviluppo,
e con tutti i limiti delle risorse di cui attualmente dispone, l’impresa
bahá’í merita tutto il rispetto che sta riscuotendo. L’osservatore esterno
non ha bisogno di accettarne l’origine divina per apprezzare ciò che essa
sta realizzando. Anche se ci si limita a considerarle fenomeni di questo
UNA FEDE COMUNE
41
mondo, la natura e le vittorie della comunità bahá’í giustificano in se stesse
l’attenzione di cui possono essere oggetto da parte di persone seriamente
interessate alla crisi della civiltà, perché dimostrano che i popoli del
mondo, con tutta la loro diversità, possono imparare a vivere e a lavorare e
a sentirsi realizzati come un’unica razza, in un’unica patria globale.
Questo fatto evidenzia, se mai occorresse farlo ancora, l’urgenza della
serie dei Piani progettati dalla Casa Universale di Giustizia per
l’espansione e il consolidamento della Fede. Il resto dell’umanità ha tutti i
diritti di aspettarsi che un insieme di persone sinceramente devote alla visione
dell’unità contenuta negli scritti di Bahá’u’lláh contribuisca con energia
sempre maggiore ai programmi di miglioramento sociale il cui successo
dipende proprio dalla forza dell’unità. Per rispondere a questa aspettativa
la comunità bahá’í dovrà crescere a un ritmo più veloce, centuplicando
le risorse umane e materiali che investe nella sua opera e diversificando
ulteriormente i talenti che la qualificano ad essere un valido partner
di organismi che seguono lo stesso orientamento. Di pari passo con gli obiettivi
sociali dello sforzo deve andare il riconoscimento dell’anelito di
milioni di persone altrettanto sincere, ancora ignare della missione di Bahá’u’lláh
ma ispirate da molti dei suoi ideali, come un’occasione per trovare
vite di servizio che abbiano un significato duraturo.
La cultura della crescita sistematica che sta radicandosi nella comunità
bahá’í sembrerebbe, pertanto, la di gran lunga più efficace risposta degli
amici alla sfida discussa in queste pagine. L’esperienza di un’intensa e
continua immersione nella Parola creativa libera gradatamente le persone
dalla presa delle premesse materialistiche, definite da Bahá’u’lláh «allusioni
delle personificazioni delle fantasie sataniche»,63 che permeano la
società e paralizzano ogni spinta verso il cambiamento. Sviluppa nelle persone
la capacità di aiutare amici e conoscenti a esprimere il proprio anelito
di unità in modo maturo e intelligente. La natura delle attività fondamentali
del presente Piano, le classi per i bambini, le riunioni devozionali e i circoli
di studio, permettono a un sempre maggior numero di persone che non
si considerano ancora bahá’í di sentirsi libere di partecipare al processo. Il
UNA FEDE COMUNE
42
risultato è stata la formazione di quella che è stata appropriatamente definita
una «comunità di interesse». L’esperienza dimostra che, nel beneficiare
della partecipazione alle mete perseguite dalla Causa e nell’identificarsi
con esse, anche loro tendono a dedicarsi completamente a Bahá’u’lláh come
agenti attivi del Suo scopo. Perciò, a parte gli obiettivi ad esso associati,
la generosa prosecuzione del Piano può potenzialmente accrescere enormemente
il contributo della comunità baha’í al pubblico dibattito su
quello che è diventato il tema più scottante che l’umanità deve affrontare.
Ma se i bahá’í vogliono portare a termine il mandato di Bahá’u’lláh, è
ovviamente importantissimo che arrivino a capire che gli sforzi paralleli
per la promozione del miglioramento della società e per l’insegnamento
della Fede bahá’í non sono attività in reciproca competizione, ma aspetti
simmetrici di un unico programma globale coerente. Le differenze di impostazione
dipendono soprattutto dalla diversità dei bisogni e degli stadi
delle richieste che gli amici vi incontrano. Essendo il libero arbitrio una
dote intrinseca dell’anima, chiunque sia portato a esaminare gli insegnamenti
di Bahá’u’lláh deve trovare la propria collocazione nell’infinito, ininterrotto
percorso della ricerca spirituale. Spetta a lui determinare,
nell’intimità della propria coscienza e in piena libertà, quale responsabilità
spirituale questa scoperta comporti. Per avvalersi con intelligenza di questa
autonomia, deve farsi un’idea dei processi di cambiamento di cui è partecipe,
come tutte le altre persone della terra, e capire chiaramente che cosa
ciò comporti per la sua vita. L’obbligo della comunità bahá’í è di fare
tutto ciò che è in suo potere per aiutare tutti gli stadi dell’universale movimento
umano verso il ricongiungimento con Dio. Il Piano divino che le è
stato affidato dal Maestro è lo strumento per mezzo del quale essa sta svolgendo
questo lavoro.
Perciò, per quanto indiscutibilmente importante sia l’ideale dell’unità
della religione, il compito di trasmettere il messaggio di Bahá’u’lláh non è
ovviamente un progetto interreligioso. Mentre la mente cerca sicurezze intellettuali,
l’anima anela al conseguimento della certezza. Questo convincimento
interiore è l’ultima meta di ogni ricerca spirituale, rapido o graUNA
FEDE COMUNE
43
duale che ne sia il processo. Per l’anima, l’esperienza della conversione
non è un elemento estraneo o secondario dell’esplorazione della verità religiosa,
ma il tema centrale da affrontare. Nelle parole di Bahá’u’lláh su
questo tema non ci sono ambiguità e non ce ne possono essere nemmeno
nella mente di coloro che cercano di servirLo: «Questo è il Giorno in cui
l’umanità può contemplare il Volto del Promesso e udire la sua Voce.
L’Appello di Dio si è fatto udire e la luce del Suo sembiante è sorta sugli
uomini. Incombe a ognuno di cancellare impronte di parole fatue dalla tavola
del cuore e di mirare con mente aperta e imparziale i segni della Sua
Rivelazione, le prove della Sua Missione e i pegni della Sua gloria».64
õ
Una delle caratteristiche della modernità è l’universale risveglio della coscienza
storica. E uno dei frutti di questo rivoluzionario cambiamento di
prospettiva che favorisce molto l’insegnamento del messaggio di Bahá’u’lláh
è la capacità delle persone di riconoscere, quando ne abbiano
l’opportunità, che tutti i testi sacri dell’umanità pongono la vicenda della
salvezza direttamente nel contesto della storia. Sotto la scorza del linguaggio
dei simboli e delle metafore, la religione, come le scritture la rivelano,
non agisce attraverso gli arbitrari dettami della magia, ma come un processo
di realizzazione che si svolge in un mondo fisico creato da Dio per questo
scopo.
A questo proposito i testi parlano con una sola voce: il traguardo della
religione è che l’umanità arrivi al giorno del «raccolto»,65 di «una sola
greggia, ed un sol pastore»,66 la grande età avvenire quando «scintillerà…
la terra della Luce del Signore»67 e la volontà di Dio sarà fatta «in terra
come in cielo »,68 «il Giorno promesso»69 in cui la «santa città»70 discenderà
«dal cielo, d’appresso… Dio»,71 in cui «il monte della Casa del Signore
sarà fermato nel sommo de’ monti, e sarà alzato sopra i colli; e tutte le
genti concorreranno ad esso»,72 in cui Dio chiederà: «Perchè tritate il mio
popolo, e pestate le facce dei poveri»,73 il Giorno in cui le scritture che sono
state «suggellate, infino al tempo della fine»74 saranno aperte e l’unione
UNA FEDE COMUNE
44
con Dio troverà espressione in «un nome nuovo, che la bocca del Signore
avrà nominato»,75 un’era infinitamente superiore a qualunque cosa
l’umanità abbia sperimentato, le menti abbiano concepito e il linguaggio
abbia descritto: «e così come abbiamo prodotto la prima creazione, la riprodurremo:
in questa promessa Ci impegniamo, e la manterremo».76
Pertanto, lo scopo dichiarato delle rivelazioni profetiche che si sono
susseguite nella storia è stato non solo di guidare il ricercatore sulla via della
salvezza personale, ma anche di preparare l’intera famiglia umana al
grande Evento escatologico che l’attendeva, grazie al quale la vita del
mondo sarebbe stata completamente trasformata. La rivelazione di Bahá’u’lláh
non è né propedeutica né profetica. È essa stessa quell’Evento.
align="left">Grazie alla sua influenza, è stata messa in moto la straordinaria impresa
della costruzione delle fondamenta del Regno di Dio e la popolazione della
terra è stata dotata di nuovi poteri e capacità adeguate al compito. Quel Regno
è una civiltà universale plasmata dai principi della giustizia sociale e
align="left">arricchita da conquiste della mente e dello spirito dell’uomo che l’età presente
non può neppure immaginare. «Questo è il Giorno», dichiara Bahá’u’lláh,
«in cui i più eccellenti favori di Dio sono stati riversati sugli uomini,
il Giorno in cui la Sua più potente grazia è stata infusa in tutte le cose
create.... Presto il presente ordine sarà chiuso e uno nuovo sarà dispiegato
in sua vece».77
Per servire questa meta occorre comprendere la differenza fondamentale
che distingue la missione di Bahá’u’lláh dai progetti politici e ideologici
di origine umana. Il vuoto morale che ha prodotto gli orrori del XX secolo
ha messo in luce gli estremi limiti di ciò che la mente può fare da sola per
progettare e costruire una società ideale, pur investendovi immense risorse
materiali. Il dolore sofferto ha indelebilmente inciso la lezione nella coscienza
dei popoli della terra. Perciò, la visione del futuro dell’umanità descritta
dalla religione non ha niente a che fare con i sistemi del passato, e
relativamente poco con quelli di oggi. Essa parla a una realtà del codice
genetico, per così dire, dell’anima razionale. Il Regno dei cieli, Gesù insegnò
duemila anni fa, è «dentro».78 Le sue similitudini biologiche di una
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«vigna»,79 di un «[seme] seminato nella buona terra»,80 del «buon albero
[che] fa buoni frutti»81 parlano di una potenzialità della specie umana che
è stata alimentata e addestrata da Dio sin dall’alba dei tempi come scopo e
trainante punta estrema del processo creativo. Proseguire nell’opera della
paziente coltivazione di questa potenzialità è il compito che Bahá’u’lláh ha
affidato alla schiera di coloro che Lo riconoscono e abbracciano la Sua
Causa. Non ci si meravigli dunque dell’eccelso linguaggio con cui Egli
parla di un privilegio così grande: «Siete le stelle del cielo della comprensione,
la brezza che spira al nascere del giorno, le dolci acque scorrenti
dalle quali dipende la vita di tutti gli uomini...».82
Il processo reca in sé la certezza del compimento. Per chi ha occhi a
vedere la nuova creazione sta oggi emergendo dappertutto, come
l’alberello che col tempo si trasforma in un albero fecondo o il bambino
che diventa adulto. La sequenza delle dispensazioni di un amorevole Creatore
Che persegue il Proprio intento ha portato gli abitanti della terra fino
alle soglie del conseguimento collettivo della loro maggiore età come un
unico popolo. Ora Bahá’u’lláh invita l’umanità a riscuotere la propria eredità:
«Ciò che Dio ha ordinato quale sovrano rimedio e come il più possente
strumento per la guarigione del mondo è l’unione di tutti i suoi popoli in
una Causa universale e in una Fede comune».83
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RIFERIMENTI
1 Bahá’u’lláh accenna all’antica storia persiana e araba di Majnún e Laylí, Le Sette
Valli e Le Quattro Valli, 3a edizione riveduta (Casa Editrice Bahá’í, Roma,
2001), pagina 8.
2 Spigolature dagli Scritti, 3a edizione riveduta (Casa Editrice Bahá’í, Roma,
2003), sezione LXI, paragrafo 1.
3 ibid., sezione XVI, paragrafo 3.
4 Tavole di Bahá’u’lláh rivelate dopo il Kitáb-i-Aqdas (Casa Editrice Bahá’í,
Roma, 1981), pagina 25.
5 Spigolature, sezione XVII, paragrafo 4.
6 Bahá’u’lláh, Epistola al Figlio del Lupo (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1980),
pagina 93.
7 Bahá’u’lláh, Il Kitáb-i-Íqán, 2a size="3">edizione riveduta (Casa Editrice Bahá’í, Roma,
1994), paragrafo 217.
8 ibid.
9 ibid., paragrafo 105.
10 ibid., paragrafo 107.
11 Spigolature, sezione XXII, paragrafo 3.
12 Preghiere e Meditazioni, 2a size="3">edizione riveduta (Casa Editrice Bahá’í, Roma,
2003), sezione CLXXX, paragrafo 2.
13 Spigolature, sezione XXVII, paragrafo 5.
14 ibid., sezione CIX, paragrafo 2.
15 ibid., sezione LXXXI, paragrafo 1.
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16 Julian Huxley, citato da Pierre Teilhard de Chardin, The Phenomenon of Man
size="3">(William Collins Sons & Co. Ltd., Londra, 1959), pagina 243. Vedi anche
Julian Huxley, Knowledge, Morality, and Destiny (Harper & Brothers, New
York, 1957), pagina 13.
17 Shoghi Effendi, L’Ordine Mondiale di Bahá’u’lláh (Casa Editrice Bahá’í, Roma,
1982), pagina 35.
18 Spigolature, sezione LXXVIII, paragrafo 3.
19 ibid., sezione CXXXII, paragrafo 1.
20 Bahá’u’lláh, Il Kitáb-i Aqdas: Il Libro Più Santo (Casa Editrice Bahá’í, Roma,
21 Bahá’u’lláh, Il Kitab-i-Íqán, paragrafo 5.
22 ibid., paragrafo 9.
23 ibid., paragrafo 14.
24 ibid., paragrafo 15.
25 Matteo XIII, 25, Diodati.
26 Ibid., XIII, 29-30.
27 Corano VII, 33, Bausani.
28 Bahá’u’llah, Il Kitáb-i-Aqdas, paragrafo 99.
29 Gli Inviti del Signore degli Eserciti: Tavole di Bahá’u’lláh (Casa Editrice Bahá’í,
Roma, 2002), paragrafo 126.
30 Bahá’u’lláh, citato in Shoghi Effendi, L’Avvento della Giustizia Divina, 2a edizione
riveduta (Casa Editrice Bahá’í, Roma , 2003), pagina 61.
31 Isaia XLV, 5.
32 Timoteo I, 17.
33 Corano III, 73.
34 Ibid., II, 177.
size="3">35 Matteo V, 13.
36 Ibid., V, 14.
37 Michea VI, 8.
39 Corano XXIV, 35.
40 Genesi XVII, 7.
41 Bhagavad-Gita, capitolo IV, traduzione di Sir Edwin Arnold.
42 Deuteronomio XXXIV, 10.
43 Giovanni V, 45-47.
48
44 Corano II, 136.
45 The Promulgation of Universal Peace. Talks Delivered by ‘Abdu’l-Bahá during
size="3">His Visit to the United States and Canada in 1912, edizione riveduta (Bahá’í
Publishing Trust, Wilmette, 1995), pagina 326.
46 Giovanni I, 10.
47 Spigolature, sezione CVI, paragrafo 1.
48 Abraham Lincoln, citato in Inaugural Addresses of the Presidents of the United
States (U.S. Government Printing Office, Washington, D.C., 1989).
49 Corano XXI, 104.
50 Bahá’u’lláh, Il Kitáb-i-Aqdas, size="3">paragrafo 5.
51 Gli Inviti del Signore degli Eserciti, paragrafo 174.
52 Shoghi Effendi, L’Ordine Mondiale di Bahá’u’lláh, pagina 209.
53 Bahá’u’lláh, citato in Shoghi Effendi, L’Ordine Mondiale di Bahá’u’lláh, pagina
195.
54 Spigolature, sezione CVI, paragrafo 2.
55 Tavole di Bahá’u’lláh, pagina 118.
56 Bahá’u’lláh, citato in Shoghi Effendi, L’Ordine Mondiale di Bahá’u’lláh, pagina
207.
57 Bahá’u’lláh, citato in Shoghi Effendi, L’Avvento della Giustizia Div ina, pagina
align="left">65.
58 Spigolature, sezione CXXXII, paragrafo 3.
59 ‘Abdu’l-Bahá, Il Segreto della Civiltà Divina (Casa Editrice Bahá’í, Roma,
1988), pagina 65.
60 Antologia (Casa Editrice Bahá’í, Roma, 1987), pagina 242.
61 Bahá’u’lláh, da una Tavola che non era ancora stata tradotta.
62 Ultime Volontà e Testamento ‘Abdu’l-Bahá (Casa Editrice Bahá’í, Roma,
63 Bahá’u’lláh, Il Kitáb-i-Íqán, paragrafo 214.
64 Spigolature, sezione VII, paragrafo 1.
65 Gli Inviti del Signore degli Eserciti, paragrafo 126.
66 Giovanni size="1">X, 16.
67 Corano XXXIX, 69.
68 Matteo VI, 10.
70 Apocalisse XXI, 2.
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71 ibid., III, 12.
72 Isaia II, 2.
73 ibid., III, 15.
74 Daniele XII, 9.
75 Isaia LXII, 2.
76 Corano XXI, 104.
77 Spigolature, sezione IV, paragrafo 1, 2.
78 Luca XVII, 21.
79 Matteo XXI, 33.
80 ibid., XIII, 23.
81 ibid., VII, 17.
82 Spigolature, sezione XCVI, paragrafo 3.
83 ibid., sezione CXI, paragrafo 3.